È ripreso stamane ad Alessandria, il processo per la morte dei tre vigili del fuoco, Marco Triches, Matteo Gastaldo e Antonino Candido, causato dallo scoppio delle bombole di gas messe ad arte dal padrone della cascina, Giovanni Vincenti, con la complicità della moglie, Antonella Patrucco, per intascare i soldi dell’assicurazione. All’udienza erano presenti i familiari delle vittime e il comandante del Vigili del Fuoco di Alessandria, Roberto Marchioni, in collegamento video da un’aula adiacente alla Corte d’Assise. Nell’aula, per la prima volta anche i genitori del vigile reggino Nino Candido.

Le scuse ai partenti delle vittime

Il processo si apre con la dichiarazione spontanea rilasciata alla Corte da Vincenti, che «chiedo scusa ai famigliari delle vittime – spiega in lacrime – anche se le mie scuse non servono a farli tornare in vita».

Il loro dolore raggiunge l’apice nel rivive i drammatici momenti seguiti allo scoppio, perfettamente descritti nella trascrizione telefonica della richiesta di aiuto del carabiniere Roberto Borlengo alla centrale dei Carabinieri, i messaggi d’addio rivolti alla famiglia quando, mezzo sepolto, pensava che sarebbe morto tra le macerie.

Il procuratore Enrico Cieri, dopo aver esposto le prove delle conversazioni (la chiamata all’assicurazione fatta da Vincenti l’8 novembre, nds) invece ha chiesto 30 anni di reclusione per tutti e due i coniugi, evidenziando come Vincenti avesse la possibilità di salvare le vite dei soccorritori avvertendoli della presenza delle bombole nella cascina, ma non l’ha fatto, accettando così il rischio della sua azione.

Per gli avvocati della difesa di Vincenti, Vittorio Spallasso e Lorenzo Repetti, l’imputazione dovrebbe essere “colposa” («Le conseguenze non erano volute») e non di dolo eventuale come invece afferma il pm. La spiegazione della loro tesi il prossimo 25 gennaio.

«Non vogliamo un centesimo, solo verità»

Ha parlato anche l’avvocato Federico, difensore di parte civile della famiglia Candido, sottolineando come Nino fosse «parte di un famiglia dove il padre fa il vigile del fuoco, la sorella è un carabiniere e la madre è una madre – evidenziando – difficile mestiere soprattutto quando la distanza dagli affetti era di 1278 chilometri da Reggio Calabria. Sopravvivere ai propri figli penso sia la condanna maggiore che possa essere data ad un genitore – afferma il legale – nel mio spazio processuale dovrei discutere del risarcimento danni, penso che ne possiamo fare a meno del risarcimento danno perché troveremo ben poco, gli imputati hanno saputo bene come sottrarsi a questo risarcimento.

Non vogliamo un centesimo di quello che loro hanno come patrimonio, lo possono tenere, lo dedichino ad opere benefiche. Vogliamo solo due cose: la verità e la giustizia. Sembrano due parole scontate, ma i processi penali descrivono le verità che facciamo in questa sede e la verità che abbiamo visto in un piccolo segmento in questo processo. La consulenza tecnica di parte è l’ultimo tentativo di un disegno tecnico criminoso ben preciso e studiato».