VIDEO | L’incontro promosso nella Basilica di Santa Maria in Trastevere ha visto la partecipazione anche di diversi calabresi. L’80% dei presenti ancora non ha ottenuto giustizia e cerca la verità per quei figli che non hanno avuto un futuro
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L’incontro organizzato da Libera, questa sera nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, è stato dedicato ai soli familiari delle vittime delle mafie. La chiesa era colma di parenti che da oltre 20 anni aspettano e cercano giustizia. L’80% dei presenti ancora non ha ricevuto risposte e cerca la verità per quei figli che non hanno avuto un futuro, per quei mariti, quelle mogli e quei fratelli, quei genitori strappati alla vita senza preavviso e a volte per un semplice caso avverso.
Vittime innocenti di mafia
Alla sua XXIX edizione, Libera attrae sempre più presenze e voci che unite a quelle dei familiari urlano letteralmente contro le mafie, cercando giustizia, chiedendo una presenza più forte dello Stato, che troppe volte demanda il compito alle sole Forze dell’Ordine e alla magistratura. Dalla Calabria, dalla Sicilia, dalla Puglia, dal Nord Italia, dalla Sardegna, dalla Campania arrivati e in arrivo nella Capitale migliaia di persone per sfilare contro le mafie. Nella sola giornata di oggi, dalla Calabria più di un centinaio di presenze, tutti familiari arrivati da ogni provincia alla Stazione Termini e scortati con due pullman dalla Polizia fino alla Basilica.
L’appello di don Ciotti
Don Ciotti presenza carismatica e immancabile chiede alle Istituzioni di fare di più. Parla di una presenza ancora ingombrante delle mafie, l’unica differenza con il passato è che «sparano di meno». Sul perché si recitano i nomi delle 1081 vittime delle mafie, il fondatore di Libera non si tira in dietro: «È importante dire i loro nomi. Ci siamo chiesti nell'arco di questi anni il senso, il significato di tutto questo e quando lo chiediamo a coloro che non conoscono la verità e che hanno perso le persone più care, capiamo che è importante dire quei nomi. È fondamentale far sentire il nome di quelle persone care assassinate» e lancia un appello accorato agli omertosi, complici di queste tragedie «Domani vedrete migliaia e migliaia di giovani con foto e cartelli che chiederanno la verità. Eppure le verità passeggiano per le vie delle nostre città, perché c’è chi ha visto, c'è chi sa. È l’omertà che uccide la speranza, ma anche la giustizia».
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Il dolore di papà Martino Ceravolo
Con gli occhi lucidi e la forza di un padre che da oltre 20 anni cerca giustizia, parla Martino Ceravolo che ha visto morire il figlio per mano della criminalità organizzata in provincia di Vibo Valentia. Morto perché si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Come un leone senza paura si rivolge a coloro che gli hanno ucciso il figlio: «Lo hanno massacrato tra le guerre che si sono fatti tra di loro, adesso c'è chi si è sposato, c'è chi ha figli e io voglio mandare un messaggio agli assassini. Come fate a sedervi con i vostri figli, quando oggi o domani vi prenderanno come vi presenterete ai vostri cari? Spiegate ai vostri figli che vanno a scuola. Provino a mettersi nei panni di una mamma, di una giornalista, di un procuratore, non è facile andare avanti. Una vita spezzata. Non si può vedere in una bara bianca un figlio».
La mamma di Antonio Landieri: «Qui per non dimenticare»
Ancora commossa la mamma di Antonio Landieri, un ragazzo disabile che muore a 25 anni sulla sedia a rotelle, ucciso da colpi d’arma da fuoco destinati agli uomini dei clan. Unica colpa non poter correre. Fu vittima innocente della camorra, durante la prima faida di Scampia. Solo perché si trovava in quel posto, fu accusato di far parte di uno dei Clan, ma la madre dice che finalmente giustizia è stata fatta, almeno per il suo onore: «Siamo qui per non dimenticare. Il dolore non si può togliere perché ogni sera tu vedi il suo letto vuoto, quel posto è vuoto.
Un ragazzo che non ha vissuto, stava nei suoi anni migliori. Aveva 25 anni mio figlio e poi era un ragazzo disabile. Non ha potuto correre perché con tutto il lato destro non poteva camminare. Mio figlio quella sera doveva andare a mangiare una pizza e speriamo che adesso quella pizza, dopo vent'anni, la riuscirà a mangiare, perché dopo vent'anni mio figlio ha avuto il suo riconoscimento. Hanno appurato che non era un camorrista ma una vittima».
Dopo la lettura dei nomi durata un’ora la parola è stata data al Cardinale Matteo Maria Zuppi, dopo il quale ha avuto inizio la veglia di commemorazione delle vittime.