Il sindacato sulla decisione del commissario ad acta Longo di consentire la vaccinazione ai lavoratori del dipartimento Salute: «Va contro il piano nazionale»
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Il sindacato Csa Cisal interviene sul dibattito alimentato dalla scelta del commissario Longo di consentire la vaccinazione ad alcuni dipendenti del dipartimento Salute.
«L’intero pianeta, da oltre un anno colpito dal Covid-19, sta affrontando la grandissima sfida della campagna vaccinale. L’unica vera arma per sperare di tornare alla normalità. Più si farà in fretta e prima questo incubo sarà alle spalle. Purtroppo – si fa presente - la Calabria è tristemente in fondo alla classifica delle somministrazioni in rapporto alle dosi di vaccini ricevute. Sempre in Calabria, il responsabile “esclusivo” dell’attuazione del programma vaccinale è il commissario ad acta Guido Longo.
Quest’ultimo ha deciso, nella giornata di venerdì 15 aprile, di richiedere la vaccinazione per alcuni dipendenti in servizio presso il Dipartimento Tutela della Salute, che frequentano i suoi stessi uffici. La richiesta – evidenzia la sigla sindacale - è stata inviata al commissario straordinario e al direttore sanitario di presidio dell’Aou Mater Domini (quest’ultima è anche componente dell’Unità di crisi per l’emergenza Covid). Longo, come confermato anche dalle sue parole pronunciate dinnanzi ad alcuni lavoratori, ha motivato la scelta “selettiva” sul personale del Dipartimento Salute poiché lo stesso riveste un ruolo strategico e la cui attività non può fermarsi. Il commissario ha allegato alla richiesta indirizzata ai vertici dell’Aou Mater Domini un elenco di nominativi da vaccinare. Sono circa una cinquantina, ma il numero sarebbe estensibile a seconda di successive indicazioni dei dirigenti di settore del Dipartimento in questione».
«Abbiamo certezza, che alcuni di questi avrebbero già ricevuto la prima dose (di Pfizer, peraltro) con tanto di data del richiamo già fissata. Ebbene, caro commissario Longo - attacca il sindacato Csa-Cisal -, qui siamo di fronte ad un duplice problema. Il primo è che con la sua decisione contrasta con gli obblighi nazionali, il secondo è una questione di manifesta “illogicità” e “discriminazione”.
Iniziamo con il primo aspetto. Perché ha violato degli obblighi nazionali? Perché anche lei, essendo un commissario della sanità inviato dal governo, dovrebbe già aver sentito come in più circostanze il presidente del Consiglio Mario Draghi abbia “strigliato” le Regioni, invitandole a non derogare al piano nazionale, che peraltro è stato recepito in un decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale. E se le sono sfuggite le dichiarazioni di Draghi, basta e avanza l’ordinanza del 9 aprile scorso del commissario nazionale per l’emergenza, il generale Francesco Paolo Figliuolo, che - a seguito della raccomandazione all’uso per gli over 60 di Astrazeneca - ha stabilito le seguenti categorie di priorità: “persone di età superiore agli 80 anni; − persone con elevata fragilità e dei familiari conviventi, caregiver, genitori/tutori/affidatari; − persone di età compresa tra i 70 e i 79 anni e, a seguire, di quelle di età compresa tra i 60 e i 69 anni, utilizzando prevalentemente vaccini Vaxzevria (precedentemente denominato Covid-19 Vaccine AstraZeneca) come da recente indicazione dell’Aifa”».
E ancora: «L’ordinanza di Figliuolo fa poi riferimento al completamento della vaccinazione per gli operatori sanitari. Non sono ammesse scorciatoie o deviazioni. Come si evince chiaramente - aggiunge il sindacato Csa-Cisal - il personale indicato nella sua comunicazione non rientra fra le categorie prioritarie. Non c’è alcuna categoria parallela (semmai c’erano forze armate e personale scolastico) che possa giustificare la vaccinazione con “l’attività strategica” svolta. Il commissario Longo ha derogato qualcosa che non si poteva derogare. Mentre ancora gli over 80 calabresi che hanno ricevuto la prima dose sono soltanto poco più del 50%, mentre tanti soggetti fragili, con gravi malattie, sono in attesa della loro dose e alle prese con i difetti della piattaforma per la prenotazione, non è ammissibile far “saltare la fila” a dei dipendenti - che sicuramente meritano tutte le tutele necessarie - ma che non rientrano in nessuna categoria prioritaria».
La sigla sindacale rimarca: «Che esempio dà in questo modo ai calabresi? Cosa dovrebbero dire le cassiere dei supermercati o i corrieri che non si sono mai fermati durante questa pandemia? Non svolgono anche loro un’attività “strategica” ed essenziale? Forse non hanno la fortuna di non lavorare a pochi metri di distanza dal responsabile regionale del piano vaccinale? E per quale motivo, queste decisioni che dovrebbero essere pubbliche e trasparenti avvengono con note interne e riservate? Perché nel piano vaccinale aggiornato da lei stesso fino al termine del mese di aprile non si è fatto mai cenno a questa categoria? È normale modificarlo con una nota riservata non pubblica e non trasparente? Strano che da un servitore dello Stato come lei, sia avvenuto tutto questo».
C’è un problema di “illogicità” e “discriminazione”: «Pur ammettendo che il suo operato fosse in buonafede - cosa che di certo non mettiamo in discussione -, è del tutto irrazionale consentire la vaccinazione solo per una cinquantina di dipendenti che tuttavia possono condividere spazi, ascensori, sala mensa con tutti gli altri lavoratori regionali. È chiaro che il dipartimento Tutela della Salute non è un’oasi felice del terzo piano della Cittadella, ma ci possono essere contatti, commistioni con gli altri lavoratori. Sarebbe come far vaccinare magistrati e cancellieri, ma non gli avvocati. Come si potrebbero celebrare le udienze? Analogamente per la Regione Calabria, per quale ragione tutto il resto del personale, ricordiamo che i dipendenti regionali sono 1.966, correrebbe meno rischi rispetto ai colleghi del dipartimento Salute? E pensiamo - sottolinea il sindacato - a chi fa attività di sportello, ha in ragione delle sue mansioni contatti con l’esterno (terzi che arrivano alla Cittadella, fornitori…) o chi, ad esempio, è all’ufficio stipendi. È lampante che la scelta del commissario è discriminatoria nei confronti della quasi totalità dei dipendenti regionali. E per giunta, a sua volta scavalca le competenze. Come può il commissario decidere su lavoratori regionali in una sfera che esula dal suo mandato? È molto strano - si sottolinea - che non abbia avvertito nemmeno il dirigente “Datore di Lavoro”. Eppure, quest’ultimo è da gennaio che prova ad ottenere l’autorizzazione prima all’esecuzione dei tamponi molecolari sui dipendenti, più avanti anche a chiedere proprio l’avvio della campagna vaccinale. A queste note formali, del soggetto preposto alla sicurezza dei lavoratori regionali non ha mai inteso rispondere e adesso spunta fuori questa richiesta “fuori sacco” di vaccinarne solo una cinquantina.
«Da un uomo di legge - conclude il sindacato Csa-Cisal - ci saremmo aspettati rispetto degli obblighi imposti dalle autorità nazionali e nessun favoritismo all’interno dell’Ente regionale di cui è ospite. Durante la protesta di alcuni lavoratori il commissario Longo ha espresso l’intenzione - previo invio degli elenchi - di vaccinare il resto del personale regionale entro una decina di giorni. Essendo ormai la frittata servita a tavola, eviti almeno di perpetrare queste differenze di trattamento. Da soggetto attuatore del piano vaccino calabrese, consenta la vaccinazione per tutti i lavoratori regionali. Senza distinzioni».