VIDEO-FOTO Rosarno ed il suo monumento allo spreco: miliardi buttati per un presidio finito, mai entrato in funzione e che oggi cade a pezzi. Mentre in Calabria si approntano i tendoni da campo per accogliere gli ammalati
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Diciotto ospedali chiusi mentre i pazienti, nell’era del Covid 19, rischiano di finire in tendoni senza medici né infermieri. Nuovi fiumi di denaro pubblico saranno bruciati da un’emergenza, l’ennesima, oltre la quale nulla rimarrà. Ossimori di Calabria, dove gli sprechi prodotti da una politica miope, sciatta e vorace, in mezzo secolo di malgoverno, hanno alimentato un debito monstre inquantificato e forse inquantificabile. Esiste una metafora di tutto questo: sta a Rosarno.
Benvenuti a Rosarno
Nella terra delle clementine e degli immigrati sfruttatati nelle campagne, di Peppino Valarioti e del clan Pesce, dell’antica Medma e del non finito calabrese, s’erge un mostro di cemento armato che cade a pezzi: l’ospedale fantasma. Concepito nel 1968, con Giacomo Mancini ministro dei Lavori pubblici, iniziato nel 1976, fu consegnato nel 1991: chiavi in mano. Costò sette miliardi delle vecchie lire, quando la lira era la lira. Mai vide un ammalato, mai un medico. Dimenticato e depredato di tutto, subito. E ciò che non è stato portato via, è stato devastato o irrimediabilmente corroso dal tempo, dalle infiltrazioni d’acqua e dalle muffe.
Se entri all’interno capisci fino in fondo cosa sia stata la sanità in Calabria e, soprattutto, nel Reggino, per tutti questi anni. Un grande cancello aperto, libero accesso a chiunque. Ovvero a chiunque se la senta di superare una distesa di rovi e di sfidare l’inquietante stridio di vetri e calcinacci, misti ad acqua e pietre, che riecheggia, passo dopo passo, tra i lunghi corridoi e quei reparti che mai hanno avuto vita.
Il senso dei luoghi
Niente più porte, né finestre, sanitari e rubinetterie. Eppure questo luogo spettrale, per qualcuno, è stata anche una casa. Coperte, giubbotti, scarpe, tracce di cibo in scatola, di legna bruciata, bivacchi: segni del passaggio di disperati senzatetto. Per altri, un ricovero per greggi e mandrie. Distese di sterco quasi fossilizzato, abbeveratoi. C’è perfino, dentro l’ospedale fantasma di Rosarno, la carcassa di un cavallo. La testa, una zampa, a cinque metri il resto. Un’immagine inquietante, che rende ancora più tetro questo luogo, divenuto un riparo per le bestie sacre fin quando scale, soffitti, pareti non son cadute letteralmente a pezzi.
Nel piano interrato c’è anche meno luce e tutto è ancora più sinistro. Su un muro di piastrelle bianche e lucide una scritta, «Aiuto», realizzata con una sostanza di colore rosso che non sembra vernice. Altri segni confusi, e analoghi, sulla stessa parete. Il senso di quel luogo, dello spreco e dell’abbandono, opprime più del luogo stesso.
Il sindaco Idà
Si può fare qualcosa affinché sia recuperato? Può dare un futuro all’ospedale fantasma di Rosarno? O andrebbe solo raso al suolo? Andiamo in Comune. Il sindaco Giuseppe Idà (foto)ha scritto direttamente al presidente del Consiglio Conte ed al ministro della Salute Speranza. Auspica che se ne faccia qualcosa, qualsiasi cosa. Il primo cittadino guarda a quel mostro di cemento armato quasi come se rappresentasse uno spartiacque per la sua comunità: recuperarlo o cancellarlo, significherebbe voltare pagina rispetto ad un controverso passato, per Rosarno come per gran parte della Piana di Gioia Tauro.
«Personalmente, ma credo che anche i miei colleghi la pensino come me – dice Idà – intendo cogliere fino in fondo il messaggio del Presidente della Repubblica, che ci invita ad essere le sentinelle dei nostri territori. Sentinelle di legalità e per i diritti delle nostre comunità. Oggi parliamo di sanità ed oggi più che mai sentiamo il dovere di ribadire, ed è necessario che questo messaggio arrivi forte, che i calabresi non sono cittadini di serie B».
Certo, esistono le storture del passato da risanare. Un’eredità pesantissima per chi, come il giovane sindaco di Rosarno, quando l’ospedale fantasma fu terminato, era appena un bambino. Oggi indossa la fascia tricolore in un comune che per la pandemia ha pianto diversi morti: «Anche uno dei miei assessori», ricorda. Ma Idà è uno che vuole fare, che non si rassegna al destino. E non è solo.
Il presidente dei sindaci
Nel suo ufficio c’è anche il presidente del Comitato dei sindaci della Piana e primo cittadino di Melicuccà Emanuele Olivieri (foto). Partecipano entrambi ad una videoconferenza proprio sulla sanità. C’è l’ospedale di Rosarno, che è mai entrato in funzione – spiega Olivieri – ma ci sono anche Oppido e tutti quegli altri nosocomi svuotati e sviliti.
«Aspettiamo la costruzione del nuovo ospedale della Piana – aggiunge – perché è nostro dovere pensare al nuovo. Ma nel frattempo i nostri cittadini devono potersi curare. Per questo riteniamo inaccettabile, ad esempio, il depotenziamento di Gioia Tauro, che è un presidio fondamentale. È una battaglia che conduciamo da anni ormai e che non abbiamo cessato di combattere neppure nei mesi più difficili della pandemia. Ora sulla Calabria c’è una rinnovata attenzione e confidiamo che la drammaticità del momento possa costituire una grande opportunità di cambiamento».