«A nessuno importa di mio figlio». Cinzia D'Amato, mamma di un ragazzo disabile, pronuncia questa frase a denti stretti e con gli occhi lucidi, con la rabbia di chi sa che è sola al mondo a combattere la sua battaglia più grande. Mamma Cinzia ci ha aperto le porte della sua casa a Tortora per denunciare, una volta di più, le storture e le controversie di una società nella quale sembra esserci poco spazio per disabili e malati e per le loro famiglie.

Suo figlio, ad esempio, dopo aver finito le scuole, non ha più un posto in cui passare il tempo e stare a contatto con i suoi coetanei, un posto un cui crescere, esplorare il mondo, a modo suo, ed esprimere i suoi talenti e le sue emozioni. «Quello che siamo costretti a subire è inaccettabile, a partire dalle prese in giro della politica. Ma non mi arrendo - precisa la donna -, io continuerò a lottare per mio figlio e per i suoi diritti, costi quel che costi».

Nessun posto in cui trascorrere il tempo

Cinzia D'Amato diventa madre quasi ventidue anni fa, quando dà alla luce un bimbo dolcissimo, dagli occhietti neri e le manine paffute. Il piccolo nasce con la sindrome di Down e alcune patologie ad essa legate ma, grazie all'amore sconfinato della sua famiglia, preoccupazioni e ansie passano in secondo piano. Antonio, così lo chiameremo per esigenze di narrazione, cresce circondato da affetto e da attenzioni e piano piano trova il suo equilibrio. In un mondo pieno di problemi, lui è sempre solare e manda baci a chiunque gli sorrida, senza chiedere nulla in cambio. Va tutto bene, fino a quando frequenta la scuola. Poi, a 18 anni, Antonio rimane solo.

Passa tutto il suo tempo seduto sul pavimento a giocare con le macchinine colorate o a guardare video divertenti. Ma gli unici volti che vede sono quelli dei famigliari e degli assistenti domiciliari che quotidianamente lo sottopongono alle terapie occupazionali. Di un amico o un coetaneo nemmeno l'ombra. L'unico centro che potrebbe frequentare in tutta sicurezza, sotto la supervisione di personale esperto, è a quaranta chilometri da casa sua. Decisamente troppi. Un'ora e più di viaggio al giorno, annullerebbe tutti gli effetti delle terapie. E così, mamma Cinzia, pur di non relegarlo all'isolamento, sceglie di fargli frequentare la sede di un'associazione del posto, nella quale si svolgono diverse attività. Qui, però, oltre al pagamento di una quota, bisogna ingaggiare di tasca propria un assistente o una figura comunque in grado di badare a lui per tutto il tempo. Cinzia si fa in quattro e per un po' lascia correre, ma sa che quella non può essere la soluzione definitiva.

Promesse mancate

Così, nel frattempo, Cinzia chiede aiuto al Comune, dove si reca per chiedere un assistente alla persona per suo figlio, ma la risposta è quasi scontata: «Spiacenti, la richiesta non può essere accolta». Allora alza il tiro e si rivolge ai politici regionali. Alcuni le rispondono, sembrano interessarsi al caso e per un po' la speranza si riaccende. Ma poi nei fatti, dice, non è cambiato nulla. «Devo dire che qualcuno mi ha anche scritto e chiamato più volte per seguire l'evolversi della situazione. Mi avevano anche garantito una soluzione, ma ad oggi tutto è rimasto invariato». Anzi, no, qualcosa è cambiato, ma non in meglio. Qualche giorno fa, al culmine di una discussione, a Cinzia e a suo figlio sarebbe stato intimato di non mettere più piede al centro frequentato fino a qualche giorno prima. «Ci sono rimasta malissimo - spiega la donna -. Io capisco che magari, in un momento di nervosismo, si dicano cose che neppure si pensano, però fino a questo momento nessuno mi ha chiamato per chiedermi scusa e ad oggi mio figlio è nuovamente condannato all'isolamento».

Totale abbandono da parte dello Stato

La situazione appena raccontata è comune a quella di tante famiglia dell'alto Tirreno cosentino, dove tanti ragazzi come Antonio, ma anche autistici e con problemi dell'apprendimento, non hanno alcuno spazio, a meno che non si metta mani al portafogli o si percorrano decine di chilometri in auto, tutti i giorni. «Non è giusto - dice ancora Cinzia -. In questi anni mi sono sentita dire tante volte che se voglio un assistente posso pagarmelo da sola, visto che mio figlio percepisce la pensione di invalidità. Ma solo chi vive certe situazioni può capire quante e quali spese ci siano ogni santo giorno e quanto sia difficile far quadrare i conti. A volte i soldi della pensione non bastano nemmeno per le cose necessarie». Per questo rivolge nuovamente un appello alle istituzioni, sperando, stavolta, di non fare un altro buco nell'acqua: «Mettetevi nei miei panni, nei panni di una madre che per 24 ore al giorno deve badare a un figlio tra mille problemi e che non merita l'isolamento sociale. E io sicuramente non merito altre umiliazioni».