Riformata la sentenza di primo grado che condannava l'imputato a otto anni di reclusione: secondo i giudici non ha commesso il fatto
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La seconda sezione della Corte di Appello di Catanzaro ha riformato la sentenza di condanna a ben otto anni di reclusione che era stata emessa dal tribunale di Cosenza in composizione collegiale a carico di Ivan Barone, difeso dagli avvocati Cristian Cristiano e Francesco Gelsomino del foro di Cosenza, assolvendo l’imputato, con la formula per non aver commesso il fatto, dall’accusa di estorsione aggravata dalla modalità mafiosa ed al fine di agevolare la cosca Rango-Zingari, nonostante la richiesta formulata dal procuratore generale e dal difensore delle parti civili costituite di confermare integralmente le statuizioni di primo grado.
La condanna in primo grado e il coinvolgimento di Marotta
L’imputato, in particolare, era stato dapprima tratto a giudizio e poi condannato a seguito della conforme richiesta della Procura Distrettuale Antimafia per aver posto in essere plurime richieste estorsive in danno del titolare di una nota pizzeria di Cosenza, in compagnia di altro coimputato per il quale si era proceduto con le forme del giudizio abbreviato, condannato in via definitiva alla pena di quattro anni di reclusione. Si tratta di Antonio Marotta, alias “Capiceddra”.
Alla presunta identificazione di Ivan Barone, quale complice nella presunta attività estorsiva, si era arrivati dopo una complessa indagine che, supportata solo successivamente anche dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Daniele Lamanna, a seguito di una serie di appostamenti, aveva condotto all’acquisizione delle riprese del sistema di videosorveglianza presente presso il ristorante e perfettamente funzionante in occasione delle plurime visite effettuate allo scopo di richiedere il pizzo. Nel corso del processo di primo grado, era emerso, in particolare, a leggere la sentenza di primo grado, che il Barone si era recato in almeno due occasioni presso la pizzeria, sempre in compagnia del coimputato, Antonio Marotta.
«Siamo amici di Daniele Lamanna»
In una di queste visite, in particolare quella del 5 dicembre 2015, erano state rivolte richieste di denaro allo scopo di assicurare protezione ad uno dei proprietari del locale; da qui la condanna inflitta ad otto anni di reclusione con il riconoscimento dell’aggravante del metodo mafioso comprovata dall’espresso riferimento, nell’occasione suddetta, alla circostanza di essere amici di Daniele Lamanna, all’epoca noto appartenente al clan summenzionato.
L’appello proposto dall’avvocato Cristiano, subentrato nella difesa solo a seguito della condanna di primo grado, aveva, di contro, evidenziato, «la macroscopica contraddizione tra quanto cristallizzato nella sentenza impugnata e quanto, di contro, emerso nel corso delle indagini con particolare riferimento a quanto documentabile proprio a mezzo delle videoriprese presenti nel fascicolo principale e, nello specifico, a quella del 5 dicembre 2015, giorno in cui era stata, a dire dei testi escussi, espressamente formulata la richiesta estorsiva con il chiaro riferimento al clan», si legge in una nota della difesa.
In Appello acquisito il video della pizzeria
Da qui la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con l’istanza di acquisire il video indicato nonché la sentenza, nel frattempo, divenuta definitiva, a carico del coimputato che, proprio perché emessa in sede di giudizio abbreviato, aveva ricostruito gli accadimenti alla luce di tutti i dati emersi nel corso delle indagini con dovizia di particolari, chiarendo, peraltro, come nel famoso video del 5 dicembre 2015 non si fosse mai registrata, contrariamente a quanto asserito dai Giudici del Tribunale di Cosenza, la presenza del Barone.
Alla luce delle nuove emergenze, acquisite conformemente alla richiesta dell’avvocato Cristian Cristiano, che pur non avevano indotto la Procura Generale a formulare né richieste assolutorie né di rideterminazione della pena inflitta, la Corte di Appello di Catanzaro ha assolto l’imputato affermando, alla luce della formula prescelta, come a commettere il fatto siano stati altri ma non Barone, la cui unica colpa, per come riportato nei motivi a firma dell’avvocato Cristiano, era stata quella di recarsi presso il ristorante insieme all’iniziale coimputato ma in un’occasione diversa da quella in cui erano state formulate le richieste oggetto dell’imputazione e cioè quattro giorni dopo il primo episodio, in data 9 dicembre 2015, allorquando i due, pur presentatisi presso la pizzeria, non avendo trovato il proprietario del locale la cui assenza era stata loro comunicata da due dipendenti, si erano allontanati senza dire o fare null’altro.
La linea difensiva
Da qui, per la difesa, l’impossibilità di presumere che Ivan Barone fosse a conoscenza di quanto avvenuto quattro giorni prima presso il medesimo ristorante ma in un momento in cui l’imputato era certamente altrove, dato equivocato dal Tribunale di Cosenza ma confermato, in modo inoppugnabile, proprio dalla visione di quel video richiesto dalla difesa e finalmente reso disponibile per le parti a seguito di specifica istanza avanzata dalla Corte di Appello alla polizia giudiziaria che aveva proceduto all’estrapolazione dello stesso.