Senza lavoro, sfrattata e con due figlie disabili rischia di finire in mezzo alla strada

VIDEO | A settembre la donna perderà la casa. Dal 1999 chiede un alloggio popolare, ma il Comune di Reggio Calabria continua a non intervenire. La denuncia arriva anche dall'associazione Un mondo di mondi

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di Angela  Panzera
6 agosto 2018
14:33

«Aspetto ancora una risposta. Ci prendono per i fondelli». Tra poco più di un mese la signora Elisabetta Manduca, insieme alle sue figlie disabili, finirà in mezzo alla strada. Lo sfratto, dall’abitazione fatiscente in cui vive nel rione “Saracinello”, alla periferia sud di Reggio Calabria, diverrà esecutivo per morosità il 14 settembre. Da più di trent’anni la donna vive in questa casa, attualmente dalle precarie condizioni igieniche, dove nulla è a norma e per cui non paga l’affitto da cinque anni a causa delle gravi difficoltà economiche in cui versa. Disoccupata e indigente, la signora Elisabetta è dal 1999 che chiede al comune- come previsto dalla legge, l’assegnazione di una casa popolare. Nonostante le promesse recenti ancora da Palazzo san Giorgio tutto tace. Attraverso la nostra testata, nel luglio scorso, la signora Elisabetta aveva lanciato un appello al sindaco, Giuseppe Falcomatà e ai dirigenti comunali competenti. Lo sfratto per lei e le sue due figlie incombe e ancora le Istituzioni “rispondono” con il silenzio.


«Non sto chiedendo un favore, sto chiedendo che venga rispettato il mio diritto. Sono molto delusa sia dal sindaco, che dalla Giunta, che dal dirigente Cristiano- il quale mi ha rimandato più volte avanti e indietro. Non c’è nessuno che si salvi, si devono solo vergognare». La situazione di Elisabetta rientra in quelle previste dall’articolo 31 della norma che riguarda l’assegnazione di immobili pubblici per la cosiddetta “emergenza abitativa”, inerenti le drammatiche situazioni di bisogno dei cittadini. «Gli alloggi ci sono solo che- si chiede la donna- non sappiamo il motivo per cui non devono consegnarli. Esigo una risposta, non mi fermerò e non ci fermeremo perché come me anche altre persone sono in questa situazione. Non ci possono trattare in questo modo». Tanta è l’amarezza così come è tanta la paura di non avere più a breve  un tetto sopra. «Ci mandano dal sindaco, poi il sindaco ci manda dal dirigente, poi il dirigente ci manda da un’altra parte; insomma, che si mettano d’accordo. Devono fare il loro lavoro, se non sono capaci che diano il posto a qualcun’altro capace di risolvere questa situazione».

 

Il sostegno dell'associazionismo

La denuncia, sulla mancata attuazione dell’ articolo 31, e non solo su questo aspetto, arriva ancora una volta da Giacomo Marino presidente dell’associazione “un mondo di mondi”, che oltre ad assistere la signora Elisabetta Manduca assiste tante famiglie, insieme ad altre associazioni facenti parte dell’ “osservatorio sul disagio abitativo”.  «Stiamo continuando a sollecitare il comune- ha affermato Marino- sulla politica abitativa visto che su questo fronte purtroppo non sta lavorando bene, non sta operando. Ha iniziato delle attività, su input delle associazioni, per poi fermarle. Il comune non ha infatti concluso le verifiche, che dovevano terminare come previsto dalla delibera del 10 febbraio 2017. Dopo 18 mesi solo alcune verifiche sono state avviate da “Hermes” (società di servizi il cui socio unico è il comune reggino ndr ) nemmeno queste sono state completate. Non è stata quindi portata a termine neanche una parte dell’operazione e quindi non si sa come gestire gli alloggi necessari per rispondere a situazioni come quelle della signora Manduca, la quale ha uno sfratto esecutivo quindi emergenze».

Graduatoria bloccata

«Poi c’è la questione della graduatoria – continua Marino- per l’assegnazione di alloggi popolari- del bando del 2005 che è bloccata. Non scorre. In quattro anni di amministrazione solo otto famiglie si sono viste assegnare la casa ma, ci sono centinaia di vincitori». Anche per quanto riguarda l’articolo 31 (sull’ermegenza abitativa ndr) in pochi hanno ricevuto un alloggio-come le famiglie che prima abitavano l’ex polveriera- e pochi altri nuclei. In quattro anni, 20 sono gli alloggi assegnati in tutto. C’è attualmente una politica abitativa fallimentare e che ancora non è entrata nella fase operativa».

Le iniziative messe in campo

Tante sono le proposte e le iniziative messe sul tavolo dalle associazioni e dall’osservatorio. Molte di esse non vengono prese in considerazione dall’istituzione comunale che, anche grazie ad una lenta e controversa burocrazia, vive una fase di totale stasi sull’argomento. «Mi auguro quindi che la “Hermes”- chiosa Marino- continui ad effettuare le verifiche volte al recupero di altri alloggi necessari per rispondere al bando e all’emergenza abitativa. Inoltre, occorre correggere il regolamento dell’articolo 31 che purtroppo non funziona. La commissione, su questo specifico settore, non è stata istituita poiché dopo due avvisi ancora non è stato trovato il presidente. Questa commissione non ha però senso ma, ha senso una procedura informatica che noi abbiamo ribadito e richiesto formalmente nel luglio dello scorso anno. Infine, bisognerebbe utilizzare i beni confiscati anche per l’edilizia popolare. C’è un bando per l’assegnazione di questi beni confiscati che scade il trenta settembre e ci auguriamo che l’amministrazione presenti proposte».

L'uso dei fondi per alloggi popolari

Un altro dato allarmante è il diverso uso dei fondi che in principio erano stati stanziati per gli alloggi popolari. Secondo quanto riferito, e più volte denunciato dalle associazioni,le somme non sarebbero più disponibili per questo settore in quanto destinate ad altri scopi.  «Ci chiediamo come mai nel 2016- ha concluso Giacomo Marino- il comune ha deciso, prima la giunta poi il consiglio comunale, di utilizzare undici milioni, che erano già stati destinati per nuovi alloggi popolari ad altre opere pubbliche? Anche questa è una scelta ambigua e nociva che nega il diritto all’alloggio. Nel contempo questa scelta comunque si potrebbe correggere. Se non si riesce a recuperare tutti gli undici milioni, che se ne recuperino almeno una parte».

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