Omicidio Marando, 30 anni di carcere per i cinque imputati

VIDEO | Regge l'accusa all'esito del processo abbreviato per la faida di Platì. Il boss fu ucciso dopo aver partecipato a una cena che si rivelò essere una trappola ordita dai Trimboli

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di Angela  Panzera
4 ottobre 2018
16:30

Ammonta a 30 anni di reclusione ciascuno la condanna inferta dal gup distrettuale di Reggio Calabria, Niccolò Marino, ai cinque imputati - che hanno scelto di essere processati in abbreviato - coinvolti nell’omicidio del boss Pasqualino Marando, ucciso, presumibilmente, perché il corpo non fu mai rinvenuto, il 27 gennaio del 2002. Il gup ha condannato per il delitto alla pena massima Rosario Barbaro, detto "u Rosi” classe 1940, Domenico Trimboli classe 1981, Saverio Trimboli detto "Savetta" classe, 1974, Natale Trimboli detto "u Stella" classe 1968 e Rocco Trimboli inteso "u Nando” classe 1967.

Accolto in toto quindi dal gup quanto invocato, durante la propria requisitoria, dal pm antimafia Giovanni Calamita. Gli arresti, eseguiti dai Carabinieri su ordine della Dda dello Stretto, sono scattati nel maggio dello scorso anno quando a distanza di 15 gli inquirenti hanno ricostruito parte della faida intercorsa tra le famiglie Marando e Trimboli. Una lotta intestina tra due "rami" della stessa famiglia che insanguinò Platì tra la fine degli anni '90 e i primi anni 2000. Cinque in tutto furono i delitti. Delitti commessi non solo per "spodestare" i Marando dalla leadership del traffico di cocaina, ma anche e soprattutto per eliminarli fisicamente dal tavolo della 'ndrangheta di Platì uno dei "locali" più importanti nella geografia mafiosa.



Sull'omicidio di Pasqualino Marando è da anni che circolano voci riguardanti la dinamica. Una serie di intercettazioni e incroci investigativi con le inchieste "Nostromo", "Igres, "Tamanaco" e "Riace", nonché le dichiarazioni di ben sei collaboratori di giustizia sono state necessarie alla Dda, rappresentata sia dal pm Calamita che dal pm antimafia Antonio De Bernardo - oggi in servizio a Catanzaro -, per fare fatto luce sui presunti esecutori del delitto e soprattutto sul mandante e le ragioni della faida platiota. 


Rosario Barbaro sarebbe il mandante, ma non avrebbe partecipato alla cena culminata con l'uccisione del boss Marando. Secondo la ricostruzione dell'Antimafia i Trimboli, invece, sarebbero stati tutti presenti all'incontro-tranello e tutti sono accusati di essere i "concorrenti materiali" e, nello specifico, "Savetta" Trimboli è ritenuto l'esecutore materiale. L'imputato infatti, avrebbe sparato due colpi di pistola contro Marando. Due colpi fatali che lasciarono in una pozza di sangue il "re" della coca. In particolare Saverio Trimboli, dopo aver dato una "spallata" ad uno suoi presunti complici, per consentirgli di allontanarsi velocemente subito prima dell'inizio dell'azione, in modo da non essere colpito e di "coprire" la via di fuga, ha sorpreso Marando e lo ha freddato.


L'omicidio è aggravato dalla premeditazione poichè lo stesso sarebbe stato «deliberato nei massimi consessi mafiosi della locale di Platì e quindi consumato ideando una macchinazione volta ad attirare la vittima in un vero e proprio tranello, convincendolo a recarsi sul luogo dell'agguato mortale per discutere con i Trimboli dei dissidi venutisi a creare in relazione alle problematiche inerenti alla gestione e spartizione dei proventi del traffico di droga nonché inerenti alcuni pregressi fatti di sangue tra i quali gli omicidi di Antonio Giuseppe Trimboli, Rosario e Saverio Trimboli, classe 1977».


L'obiettivo per i Trimboli era chiaro: dovevano avere il sopravvento sulla cosca Marando nella faida che vedeva coinvolte le due 'ndrine. E più in generale con l'uscita di scena di Pasqualino Marando andavano a regolare dei rapporti di forza tra le varie componenti criminali all'interno della "locale" di Platì. Adesso per tutti gli imputati arriva una durissima condanna inferta dal gup distrettuale, ossia 30 anni di detenzione, la massima pena prevista per chi ha scelto di essere processato con il rito abbreviato.

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