È l’uomo che nella notte tra il 18 e il 19 marzo a Crotone fu vittima di un attentato in una palazzina di via Veneto, a pochi passi dal palazzo di giustizia, dove si trovava detenuto agli arresti domiciliari, il capo dell’organizzazione turca sgominata questa mattina nel corso di una operazione della Polizia di Stato coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Milano.

Si tratta del 40enne turco Baris Boyun, ritenuto un boss della mafia locale, arrestato a Viterbo con altri 18 turchi dimoranti in Italia, ma anche in Svizzera e Germania e Turchia, indagati, a vario titolo, per associazione a delinquere aggravata anche dalla transnazionalità, banda armata diretta a costituire un’associazione con finalità terroristiche ed a commettere attentati terroristici, quindi detenzione e porto illegale di armi “micidiali” e di esplosivi, traffico internazionale di stupefacenti, omicidio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. L’uomo era stato già arrestato il 3 agosto del 2022 a Rimini. L’anno dopo ne era stata chiesta l’estradizione dall’autorità turca «per dare esecuzione a un provvedimento di cattura internazionale emesso il 6 aprile 2022 dal Tribunale di Istanbul».

All’epoca dei fatti Boyul risultava «indagato nell'ambito di un procedimento penale pendente in Turchia nel quale era chiamato a rispondere dei reati di omicidio, lesioni personali, minacce, partecipazione a un'associazione per delinquere e violazione della disciplina sulle armi». Tuttavia prima la corte d’appello di Bologna e poi, a giugno dello scorso anno, la Corte di Cassazione avevano negato l’estradizione ritenendo che le sue origini curde lo avrebbero messo in pericolo se rimpatriato.

L'agguato a Crotone

Nel frattempo, il 21 gennaio scorso, Baris Boyun era stato nuovamente arrestato a Milano dalla Polizia che lo aveva trovato in macchina con la moglie in possesso di una pistola clandestina. Dal 2 febbraio era quindi passato agli arresti domiciliari a Crotone che lo stesso turco aveva indicato poiché luogo di residenza della sua compagna, città che peraltro già frequentava assiduamente da un paio d’anni.

Nonostante i domiciliari, comunque, Boyul pare che si spostasse liberamente dalla Calabria a Milano. Eppure l’abitazione della convivente in via Veneto era sorvegliata 24 ore al giorno da pattuglie della Polizia. Non è escluso che il turco stesse collaborando con i magistrati della Dda milanese. Ed è proprio questo il possibile movente dell’attentato avvenuto poco dopo la mezzanotte del 18 marzo scorso quando, due uomini sbucati dal nulla, malgrado la presenza delle pattuglie all’esterno, entrano nella palazzina di via Veneto ed esplodono almeno quattro colpi di pistola contro la porta dell’abitazione in cui si trova Boyul con la sua donna. Gli altri condomini, impauriti, si barricano in casa e chiamano la polizia. Gli agenti non devono fare neppure tanta strada perché sono di guardia poco distanti da quell’abitazione, ma i killer si dileguano tranquillamente. Pochi giorni dopo il turco viene prelevato e trasferito in un altra località. Ora si scopre che abitava a Viterbo.

Dagli atti dell’indagine della Dda di Milano emerge che avrebbe pianificato un attentato contro il presunto mandante del suo omicidio, il boss di un clan rivale, attivando un gruppo di fuoco che avrebbe dovuto colpire una fabbrica in Turchia. Ma questa mattina è stato arrestato di nuovo.

All'inchiesta, visti i consistenti flussi di soldi per le attività dell'associazione, ha collaborato anche la Sezione Investigativa Finanziamento Terrorismo della Gdf di Milano. L'operazione, tuttora in corso, sta coinvolgendo centinaia di poliziotti tra Svizzera e Italia, tra cui personale della Squadra Mobile di Como, dello Sco di Roma, della Sezione Investigativa Sco di Milano e di Brescia, delle Squadre Mobili di Catania, Crotone, Verona e Viterbo.