Santelli al crocevia legalità, quale direzione per la neogovernatrice?

Con la nomina dell'assessore Ultimo, la neo presidente della Regione Calabria sembra aver voluto dare un chiaro segnale di attenzione alla legalità. Ma dalla burocrazia alla sua maggioranza, si contano posizioni "sdrucciolevoli"

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di Alessia Candito
23 febbraio 2020
13:42
Capitano Ultimo e Jole Santelli
Capitano Ultimo e Jole Santelli

Lo sprint legalitario che sembra aver ispirato la neogovernatrice Jole Santelli nel riempire le prime caselline della sua Giunta, potrebbe arenarsi rapidamente sulle sponde burocratiche della cittadella e quelle politiche della sua stessa maggioranza.

Prese per buone le promesse di trasparenza e legalità che avrebbero ispirato la nomina dell’assessore Ultimo (salvacondotto dell’Arma permettendo), più sdrucciolevole rischia di essere la posizione di altre figure – politiche o burocratiche – con cui la neogovernatrice e il suo (auspicato) responsabile all’Ambiente dovranno avere a che fare. A partire dai fratelli Catizone. O meglio, soprattutto da uno dei due.

Catizone alla riscossa

Lei, Eva, ex sindaco di Cosenza, è stata una delle prime ad essere chiamate a far parte dello staff di fiducia della Santelli ed ora è in pole position per l’incarico di portavoce della neogovernatrice.

Lui, Lorenzo, in Regione ci stava già dai tempi di Oliverio. Avvocato della provincia di Cosenza all’epoca governata dall’ex presidente della Regione Calabria, nell’ottobre 2015 si colloca nel sottobosco governativo della Cittadella, cui segue un rapido passaggio all’Avvocatura regionale, per un approdo – quasi a fine legislatura – nell’ufficio di Gabinetto del governatore.

E tre giorni prima delle elezioni, strappa un nuovo incarico nel più defilato (ma non meno munifico) settore dell’Agenda digitale, chiamato a portare la burocrazia della Cittadella nel terzo millennio, emancipandola da carte e timbri. Peccato che fra l’uno e l’altro contratto, Lorenzo Catizone abbia ricevuto anche un’altra notifica, ma non si tratta di un incarico.


Indagato per il suq Petrini

Arriva dalla procura di Salerno, che lo ha iscritto sul registro degli indagati nell’inchiesta sul giudice Marco Petrini e il suq di sentenze che aveva messo in piedi a Catanzaro.

In quella storiaccia, ci inciampano anche Catizone (Lorenzo) e la madre Virginia Carusi. Motivo? Perché la moglie di Catizone si chiama Loredana De Franco, ai tempi era la presidente di Corte d’appello che avrebbe dovuto decidere le sorti di Maurizio Gallelli e Antonio Saraco, e il figlio di quest’ultimo, avvocato di professione, era disposto a fare di tutto pur di sistemare la pesante condanna di primo grado. Incluso munire l’ex consigliere regionale Pino Tursi Prato, già condannato per concorso esterno, di un assegno da 100mila euro a testimonianza delle serie intenzioni di retribuire gli illeciti servizi sollecitati. Tursi Prato – ormai è noto – ci si è messo d’impegno ed ha attivato più di un canale, incluso quello che tramite Giuseppe Caligiuri doveva portarlo direttamente a casa Catizone.

Il «grosso favore»

È lui a contattare Lorenzo per chiedergli «un grosso favore» di cui tuttavia – ascoltano e riportano gli investigatori – Caligiuri sostiene di potergli parlare solo ed esclusivamente di persona. Catizone prende tempo, non sembra aver alcuna voglia di raggiungerlo, parla di esami medici da fare, ma promette di cercare di organizzarsi.

Poco dopo, Caligiuri – attivissimo – chiama la sorella dell’avvocato, Eva, cui ribadisce «l'assoluta urgenza di incontrare lei ed il fratello Lorenzo, poiché doveva chiedere un favore ad entrambi, aggiungendo che il discorso doveva essere fatto a voce. Sempre il Caligiuri precisava che "il 17 ho una cosa importante .... Se tu vieni prima verso il 10 .... Che ne so, hai capito? lo ti aspetto .... Allora mi fai sapere? Va bene? Mi raccomando». Il 17 luglio, giorno fissato per l’udienza di Saraco senior.

Spedizione a Camigliatello silano

Ma quale fosse la «cosa importante» lo chiarisce qualche giorno dopo lo stesso Caligiuri raccontando per filo e per segno le sue mosse a Pino Tursi Prato, che subito gli risponde «ma ti accompagno io ti ho detto ... non è che hai capito ... io ti prendo e ti ci porto». Ed in effetti i due il 14 luglio vanno in spedizione a Camigliatello Silano, dove Lorenzo Catizone e la madre stanno soggiornando. Arrivati a destinazione, Caligiuri ha la premura di lasciare il cellulare in macchina dunque nessuna delle conversazioni è stata captata.

Tuttavia, si legge nelle carte «emergeva che il Caligiuri aveva prospettato la situazione alla Carusi e quest'ultima gli aveva dato delle "buone speranze"». E forse non a caso, giulivo, in macchina Caligiuri intercettato dice «Ohi Pì, il fatto è bello, ormal.. il fatto è bello, Pino».

E poco dopo Tursi Prato si affretta a chiamare Saraco per comunicare «siamo in dirittura d'arrivo, quindi la cosa è positiva, hai capì, uhm?». In realtà, il piano non va in porto, il 17 luglio del 2019 la Corte d’Appello di Catanzaro conferma le sentenze di condanna del giudice di primo grado nei confronti di Antonio Saraco e Maurizio Gallelli. E forse anche per questo per loro non sono state chieste misure cautelari, tuttavia – che si sappia – non risultano neanche denunce del tentativo di corruzione.

Crocevia legalità

E cosa ne dirà o direbbe il capitano/assessore Ultimo, che proprio su giri di corruzione e traffico di influenze ha concentrato i suoi più recenti sforzi investigativi?

Una grana,
ma non l’unica per Santelli, che anche nella sua maggioranza rischia di far i conti con più di un indagato, impantanato o lambito in inchieste, anche antimafia.

E potrebbe non trattarsi solo “dell’impresentabile” Domenico Tallini, così bollato dalla commissione parlamentare antimafia perché per lui è stato chiesto il rinvio a giudizio per corruzione. O del neoconsigliere regionale Vito Pitaro, che si sappia non indagato, ma più volte evocato nell’inchiesta “Rinascita-Scott” perché a detta di Pietro Giamborino, ex consigliere regionale arrestato perché considerato espressione diretta dell'omonimo clan, lui e Bruno Censore «si sarebbero avvalsi dell'appoggio di persone ‘ad alto rischio', esponenti della criminalità locale, per garantirsi il bacino di voti». 

Giornalista
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