Traffico di reperti archeologici, otto rinvii a giudizio a Vibo

Disposto il processo anche per lo studioso dei Bronzi Giuseppe Braghò. L’inchiesta “Purgatorio 3” è stata condotta dal Ros di Catanzaro

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di G. B.
26 febbraio 2019
17:57
Reperti archeologici - Immagine di repertorio
Reperti archeologici - Immagine di repertorio

In otto sono stati rinviati a giudizio dal gup del Tribunale di Vibo Valentia, Pia Sordetti, nell’ambito del procedimento penale nato dall’inchiesta denominata“Purgatorio 3” su una presunta associazione a delinquere finalizzata al traffico di reperti archeologici. In accoglimento di una richiesta formulata dalla Procura di Vibo Valentia (prima con il pm Filomena Aliberti, oggi con il pm Claudia Colucci) il gup ha rinviato a giudizio: Giuseppe Tavella, 57 anni, di Vibo Valentia (difeso dall’avvocato Giuseppe Pasquino); Giuseppe Braghò, 71 anni, di Vibo Valentia (Francesco Sabatino); Pietro Proto, 55 anni, di San Nicolò di Ricadi (avvocato Mario Santambrogio); Alberto Di Bella, 47 anni, di Vibo Valentia (avvocato Santino Cortese); Francesco Agnini, 63 anni, di Vibo Valentia (avvocato Sandro Franzè); Francesco Staropoli, 59 anni, di Nicotera, commerciante di auto a Vibo (avvocati Ignazio Di Renzo e Nazzareno Latassa); Carmelo Pardea, 49 anni, di Vibo Valentia (avvocato Francesco Sabatino); Rosario Pardea, 57 anni, di Vibo Valentia (avvocato Dorotea Rubino). Restano invece stralciate per difetti di notifica dell’avviso di conclusione indagini le posizioni di Orazio Cicerone, 45 anni, di Nicotera (difeso dall’avvocato Michelangelo Miceli) e di Luigi Fabiano, 49 anni, cittadino svizzero residente a Thun (avvocato Wanda Bitonte). 

L’accusa. Associazione a delinquere finalizzata al traffico di reperti archeologici la contestazione mossa dalla Procura di Vibo Valentia, che mira così a far luce sulle attività di alcuni presunti “tombaroli”. Il reato associativo fa riferimento alla realizzazione di un cunicolo in via De Gasperi a Vibo Valentia – in zona sottoposta a vincolo archeologico – nei pressi dell’area dedicata un tempo alla ninfa Scrimbia, finalizzato a condurre scavi non autorizzati per sottrarre, trafugare e commercializzare i numerosi reperti archeologici di età compresa fra il IV e VI secolo A.C.. Al vertice della presunta associazione, la pubblica accusa – originariamente rappresentata dalla Dda di Catanzaro – collocava il boss della ‘ndrangheta di Limbadi Pantaleone Mancuso, detto “Vetrinetta” (in foto, deceduto in carcere nell’ottobre 2015). Il gip – e successivamente il Tdl - non ha ravvisato però alcuna aggravante mafiosa nelle contestazioni, rigettando le misure cautelari per come proposte dalla Dda di Catanzaro sulla scorta delle indagini del Ros di Catanzaro. 


Giuseppe Tavella è accusato di essere stato il coordinatore e il finanziatore della presunta associazione, mentre altri presunti finanziatori del sodalizio vengono indicati in Francesco Staropoli e Pietro Proto, con Giuseppe Braghò che viene invece ritenuto il presunto “anello di congiunzione” per la vendita e l’esportazione di reperti illecitamente trafugati. Agli scavi abusivi avrebbero poi provveduto, secondo l’accusa, i fratelli Rosario e Carmelo Pardea, mentre Alberto Di Bella viene indicato come l’affittuario dell’immobile di via Alcide De Gasperi a Vibo sotto il quale era stato realizzato il tunnel abusivo per trafugare i reperti archeologici. Luigi Fabiano, ritenuto vicino a Braghò e Proto, si sarebbe infine occupato della commercializzazione dei reperti in Svizzera. Tali ultimi tre indagati si sarebbero anche impossessati di un capitello bizantino sottratto nel 2011 dal sito archeologico dell’Abbazia della Trinità di Mileto e trasportato per la vendita in Svizzera. 

Altra contestazione. Escluso Fabiano (la cui posizione è stata stralciata), a tutti gli altri imputati viene contestato anche il reato di danneggiamento per la realizzazione nel 2010 del cunicolo sotterraneo fra via Scrimbia e via De Gasperi, al confine con i giardini dell’hotel “Vecchia Vibo”, per una lunghezza di 50 metri. Per una parte dei reperti qui rinvenuti, gli stessi imputati sono accusati di averne provocato la rottura. Secondo l’accusa, l’associazione avrebbe trafugato dall’antica stipe votiva di Scrimbia alcune statue e reperti fittili di ingente valore. Delle somme di denaro avrebbe beneficiato pure il defunto boss Pantaleone Mancuso. A causa di contrasti interni all’associazione, nei confronti di Braghò (studioso dei Bronzi di Riace) sarebbe stata infine ipotizzata – ad avviso della Procura – pure una grave ritorsione. Carmelo Pardea è il coniuge di una consigliera comunale uscente di Vibo Valentia.

Giornalista
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