Tutti i retroscena dello scontro con il clan dei Pardea-Macrì illustrati dal collaboratore nel corso delle deposizioni che riprenderanno a settembre
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Riprenderà l’1 settembre prossimo la deposizione del collaboratore di giustizia, Bartolomeo Arena, nel maxiprocesso Rinascita Scott, il cui esordio in videoconferenza con l’aula bunker di Lamezia Terme risale al 20 luglio scorso. Deposizioni fiume nel corso delle quali il collaboratore ha svelato molteplici retroscena criminali e spiegato rapporti e interessi mafiosi di diversi clan. Il deposito delle trascrizioni integrali delle deposizioni permette di approfondire nei dettagli diversi temi trattati in udienza dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia.
La ‘ndrina dei Cassarola di Vibo
“Il capo del clan Pugliese, detto Cassarola, di Vibo Valentia, è Rosario Pugliese, sposato con una Fortuna nipote di Ciccio Pomodoro. Rosario Pugliese – ha dichiarato Bartolomeo Arena – era molto legato a Francesco Antonio Pardea ed alla sua famiglia, poi però Francesco Pugliese, detto Cecchino, fratello di Rosario Pugliese sfidò apertamente Rosario Pardea dicendogli che l’avrebbe sparato in testa. Fu così che Rosario Pardea invitò Cecchino Pugliese, detto Bang-Bang, per vedere un’arma a Cosenza e qui venne eliminato a soli 14 anni. A portare Cecchino Pugliese, fratello di Rosario Pugliese, sino a Cosenza da un personaggio vicino al clan Perna, è stato Nicola Tambuscio su mandato di Rosario Pardea (in foto). A Cosenza a Cecchino Pugliese venne tagliata la testa per via dell’affronto che aveva fatto nello sfidare Rosario Pardea. A me questa storia – ha svelato il collaboratore – mi è stato raccontata da Francesco Antonio Pardea al quale a sua volta era stata riferita dal nonno omonimo e dal padre Raffaele”.
La vendetta dei Cassarola
L’ordine di vendicare l’omicidio dell’allora 14enne Cecchino Pugliese – secondo Bartolomeo Arena – sarebbe partito dal carcere dove a metà anni ’80 si trovava detenuto Francesco Fortuna, detto “Ciccio Pomodoro”, pezzo da novanta della malavita di Vibo Valentia ed all’epoca detenuto per l’omicidio di Francesco Gasparro, commesso a San Gregorio d’Ippona. “Domenico Piromalli e il nipote Rosario Pugliese, detto Saro Cassarola, invitarono così in macchina il vecchio Francesco Antonio Pardea e Saro Cassarola gli sparò da dietro un colpo in testa. Il cadavere di Francesco Antonio Pardea venne seppellito in una zona di Vibo dove però tempo dopo venne spostato perché lì stavano realizzando delle costruzioni. Lo stesso Saro Cassarola affrontò poi i fratelli Tambuscio, ritenuti gli esecutori materiali dell’omicidio del fratello Cecchino, e li uccise entrambi”.
La sparatoria contro Massimo Caserta
Bartolomeo Arena ha quindi confessato un fatto inedito. Sarebbe stato lui nel 1994 ad attentare alla vita di Massimo Caserta in piazza Municipio a Vibo Valentia. “È stato Carmelo Pugliese, fratello di Saro Pugliese, a fornirmi la pistola con la quale ho sparato e ferito in piazza Municipio Massimo Caserta. Avevo 19 anni all’epoca – ha dichiarato Arena – e gli sparai perché in precedenza i fratelli Caserta avevano sparato a Filippo Di Miceli ad un braccio. Di Miceli già all’epoca faceva parte di un gruppo di rapinatori di Vibo. I Caserta, invece, erano legati ai fratelli Narciso, trafficavano droga e si interfacciavano con Antonio Mancuso”. Da precisare che Carmelo Pugliese non è fra gli imputati di Rinascita Scott.
I componenti del clan Pugliese
Bartolomeo Arena ha quindi spiegato che i Pugliese, detti Cassarola, sono stati fra i primi a Vibo Valentia ad occuparsi di usura, spaziando però i loro affari anche nel settore delle armi e della droga. “Carmelo Pugliese, fratello di Rosario Pugliese, è stato rimpiazzato nella ‘ndrangheta negli anni ’90 insieme a Nicola Lo Bianco e ad Antonio Lo Bianco detto Caprina. Carmelo Pugliese era sposato con una mia cugina – ha dichiarato Arena – e non andava d’accordo con Antonio Grillo, detto Totò Mazzeo. Carmelo Pugliese è inoltre cognato di Onofrio Barbieri di Sant’Onofrio. I più attivi dei Cassarola sono Rosario, detto Saro, Carmelo e Antonio, oltre al loro zio Domenico Piromalli. Sono tutti uomini d’onore e nel loro gruppo c’è pure Orazio Lo Bianco (in foto), nipote di Ciccio Pomodoro, che era a tu per tu con molti medici dell’ospedale di Vibo. I Cassarola esercitano i loro affari in prevalenza nel quartiere Affaccio di Vibo”.
Le sparatorie contro i Cassarola
Bartolomeo Arena ha indicato quindi nel corso della deposizione anche il nome di colui che, insieme allo stesso futuro collaboratore, avrebbe cercato di uccidere Antonio Pugliese.“Diego Bulzomì e Nicola Lo Bianco, quest’ultimo figlio di Carmelo Lo Bianco detto Sicarro, non andavano d’accordo con i Cassarola che pure io volevo colpire, specialmente Antonio Pugliese che andava a prendersi i soldi ad usura da una persona di Bivona. Dovevo essere io a sparare ad Antonio Pugliese – ha svelato il collaboratore – e con me in macchina c’era Diego Bulzomì. Siamo negli anni ’90 e in quell’occasione pure Antonio Pugliese si trovava in macchina e riuscì a scappare”. Diego Bulzomì non figura fra gli imputati di Rinascita Scott. Nicola Lo Bianco è invece rimasto vittima nel 1997 della “lupara bianca”.
In altra occasione, invece, sarebbe stato Mommo Macrì nel 2017 a sparare ad un piede a Nazzareno Pugliese dopo una lite per futili motivi all’interno di un circolo. “Arrivarono a casa mia – ha raccontato Arena – Mommo Macrì e Michele Pugliese Carchedi e Macrì mi disse che aveva appena sparato ad un piede a Nazzareno Pugliese. Tentai di avvertire subito del fatto Francesco Antonio Pardea, ma senza riuscirci. Chiamai così Giuseppe Camillò e ci recammo nel quartiere Affaccio e poi nella sala giochi di piazza Municipio gestita da Antonio Macrì il quale ci disse che c’era Rosario Pugliese, detto Saro Cassarola, che stava girando in macchina nella zona del supermercato Despar. In effetti, una volta incrociata la sua auto nei pressi del supermercato, Rosario Pugliese si mise ad inseguirci sparando, ma senza prenderci. Mommo Macrì l’abbiamo poi rivisto successivamente insieme a Daniele La Grotteria e ci riferì che avevano sparato nel quartiere Affaccio alle auto dei Cassarola e alle loro abitazioni”. Qualche giorno dopo, quindi, altra sparatoria contro il circolo di via Giovanni XXIII, nel quartiere Affaccio, gestito da Carmelo Pugliese. “E’ stato Vincenzo Mantella – ha dichiarato Bartolomeo Arena – ad avvisarci che i Cassarola si trovavano davanti al circolo Il Gallo nella zona Affaccio. A sparare è stato Domenico Camillò, mentre Luigi Federici guidava la moto”.
La tregua “fittizia”, secondo il collaboratore, fra il gruppo dei Pardea-Macrì-Camillò (di cui faceva parte lo stesso Bartolomeo Arena) e quello dei Pugliese-Cassarola sarebbe stata raggiunta per volontà di Enzo Barba e di Antonio Macrì, quest’ultimo padre di Mommo Macrì. “Cercò di mediare anche Antonio Franzè, detto Niuccio – ha aggiunto Bartolomeo Arena – il quale si era proposto di fare da paciere”. Antonio Franzè non risulta imputato in Rinascita Scott. Una tregua presto rotta e che stava portando ad una nuova guerra di mafia a Vibo Valentia.
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