Che ci fa un bambino di dieci anni, sul cofano di un’auto, in carosello per tutta la notte fino all’alba? Celebra la vittoria dell’Italia ai mondiali di Berlino? No, la vittoria del candidato a sindaco sostenuto dal suo papà che, per inciso, è considerato un pezzo grosso della mala locale. Si apre con quest’affresco il capitolo che il Nucleo investigativo dei carabinieri di Vibo Valentia dedica alle infiltrazioni negli enti locali della provincia di Vibo Valentia: è nell’informativa finale acquisita agli atti del maxi-procedimento Rinascita Scott dopo la chiusura delle indagini preliminari da parte della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro.

L’influenza sulla popolazione

I militari del maggiore Valerio Palmieri, dunque, partono da Sant’Onofrio. È il 5 giugno del 2016, si vota per le elezioni comunali. I carabinieri sono delegati dal pool di Nicola Gratteri al segmento di Rinascita Scott che riguarda il clan Bonavota ed i suoi accoliti. Intercettano a man bassa e acquisiscono - si legge nell’informativa consegnata il 29 aprile 2020 - «importanti conversazioni che dimostrano l’influenza che il sodalizio di Sant’Onofrio esercita sulla popolazione al fine di pilotare i voti verso candidati e liste a loro preferiti e nello specifico verso la lista “Tre Spighe”, risultata vincitrice delle elezioni».

Da Sant’Onofrio a Maierato

Quella tra il 5 e il 6 giugno - spiega l’informativa dell’Arma - fu una notte di giubilo per il clan che, per brindare al successo, avrebbe ordinato anche sette chili di dolci. Notte di bagordi a Sant’Onofrio, ma anche nella vicina Maierato. «Noi abbiamo vinto, voi?», diceva e domandava Onofrio Arcella, considerato dagli inquirenti figura vicina al boss Domenico Bonavota, a Renato Cracolici (non indagato), figlio del defunto boss di Maierato Raffaele, che replicava: «Pure». E Renato ribadiva: «Vincono sempre i più forti». La sintesi che operano i militari delegati dalla Dda di Catanzaro è efficace: «In tale contesto tuttavia emergeva come i due interlocutori facessero riferimento alla soddisfazione di una pluralità di soggetti ad essi collegati per l’esito delle consultazioni elettorali, riconducibile agli esponenti delle consorterie operanti nei territori di Sant’Onofrio e Maierato».

Gli inquirenti seguiranno con attenzione tutto ciò che accadrà in seno al consiglio e all’amministrazione comunale di Sant’Onofrio, rilevando parentele e rapporti sospetti tra alcuni consiglieri (nessuno però indagato) e accendendo i riflettori anche sullo staff del sindaco Onofrio Maragò (estraneo all’inchiesta).

Un riempilista per Vibo

C’è anche un paragrafo dedicato alla «ingerenza nell’ente comunale di Vibo Valentia». In realtà - si legge più avanti, nell’informativa dell’Arma – si tratta di un «tentativo di infiltrazione della consorteria santonofrese anche nel Comune di Vibo Valentia». Si sarebbe consumato con la candidatura del genero di un presunto esponente del clan Bonavota nella lista del Partito democratico. «Dice che al Comune di Vibo la comandi tu!», la battuta di un uomo al suocero indagato del candidato, che – dimostrandosi comunque scettico sulla possibilità di elezione del genero (estraneo comunque all’indagine) – replicava: «Me lo hanno chiesto per favore… È venuto [incomprensibile] per favore, gli ho detto metti a lui che è di Lecce, che non lo conosce nessuno».

Per gli investigatori emergeva chiaramente come il ragazzo «non si fosse candidato per proprie aspirazioni politiche», ma per scelta del suocero «al quale qualche politico locale aveva chiesto una candidatura dove far convogliare il bacino elettorale riconducibile a quest’ultimo». Pertanto - è la conclusione - «tali dinamiche possono essere considerate come modalità di infiltrazione nella politica e nelle istituzioni vibonesi». In realtà l’apporto elettorale che questo candidato portò al Partito democratico e al concorrente per la carica di sindaco, Stefano Luciano (estraneo all’indagine), fu davvero scarno: appena dieci voti, un riempilista più che un aspirante amministratore.

Gli interessi su Filogaso

Decisamente più evidenti, invece, secondo la ricostruzione degli inquirenti «i tentativi di ingerenza nell’ente comunale di Filogaso». Le investigazioni sono concentrate sul 43enne Giuseppe Fortuna, espressione di quella che i carabinieri definiscono come «l’ala imprenditoriale della consorteria mafiosa di Sant’Onofrio», con interessi nel settore boschivo, del commercio del legname e del movimento terra. In realtà non compare il suo nome sulle carte e ciò «consente di poter partecipare ai pubblici appalti, in quanto la mancata comparsa del proprio nome dalle compagini societarie esclude il rischio di potenziali misure interdittive antimafia». Egli viene monitorato soprattutto per i suoi affari su Filogaso e per le sue conversazioni che dimostrerebbero il suo interesse per l’appalto della Provincia di Vibo Valentia, del valore di oltre 430mila euro, per l’adeguamento sismico del Municipio di Filogaso. Aggiudicatario della gara, per l’importo di circa 350mila euro, la Gisa Costruzioni, la cui proprietà era stata già soggetta a provvedimenti interdittivi e problemi giudiziari in ragione della contestata vicinanza al boss di San Gregorio d’Ippona Saverio Razionale.  

Un tempo era Alfredo Cracolici, il boss del paese. Mentre il fratello Raffaele comandava sulla vicina Maierato. Il primo fu assassinato nel 2002, il secondo nel 2004. Entrambi vittime - diranno le inchieste istruite dalla Dda di Catanzaro - della furia dei Bonavota di Sant’Onofrio, che si presero così tutta quell’area. Tre lustri, pieni, pertanto, di incontrastato dominio. Ed un episodio, più di ogni altro, per i carabinieri è sintomatico del clima che si respiri anche da quelle parti.

Le vie non istituzionali del vicesindaco Rachieli

Protagonista di questo cameo è Daniele Rachieli (non indagato), consigliere comunale di maggioranza e vicensindaco di Filogaso, recentemente nominato nella struttura speciale del consigliere regionale Vito Pitaro. Rachieli aveva ricevuto delle lettere di avvertimento da parte di un presunto affiliato ai Bonavota: sarebbero state la conseguenza di un suo intervento nel contesto di alcuni dissidi privati che riguardavano un suo amico. Finì - secondo le intercettazioni acquisite nel fascicolo - finì con l’affrontare il problema in modo tutt’altro che… istituzionale.

Omertà a Filogaso

E così anche questa vicenda - per i militari dell’Arma - mette in evidenza come «persino un esponente della giunta comunale di Filogaso, sentendosi minacciato da un sodale della consorteria di ‘ndrangheta di Sant’Onofrio, non procedeva a darne avviso alle autorità preposte ad oggi non risulta alcuna denuncia sporta dal Rachieli su tali fatti, bensì preferiva intercedere sul predetto sodale mediante i canali della criminalità organizzata, facendo giungere una richiesta di cessazione di quelle minacce ai maggiorenti della consorteria». Ciò rivela, è annotato in conclusione - come «a Filogaso anche le locali istituzioni siano ormai assuefatte da un clima di omertà che verosimilmente condiziona anche la politica del paese, riconoscendo il potere assunto dalla ’ndrangheta su quel territorio».