«Procedo passo dopo passo perché il mio caso non è ancora concluso. Tra un mese ci sarà la prossima udienza. Naturalmente sono contenta e felice di essere fuori dal carcere, seppure molto stanca, ma sono anche preoccupata. Per me è importante adesso dire la verità sulla mia vita e sulla mia storia. Non sono una migrante economica. Non ho lasciato il mio paese per migliorare la mia vita ma per continuare ad averne una. Cercavo solo un posto sicuro in cui essere riconosciuta rifugiata politica. Ho pagato oltre 50mila euro, insieme al mio adorato fratello per partire e per sfuggire all'operazione di neutralizzazione dei combattenti" in atto contro chi rivendica l'esistenza del Kurdistan. Ho lasciato la mia terra ma il mio sogno più grande, al quale dedicare ogni energia, resta sempre quello di un Kurdistan finalmente libero».

Leggi anche

Maysoon: «Su di me tante bugie»

Si racconta con i suoi occhi scuri, grandi e ancora luminosi, Maysoon Majidi, tornata in libertà solo qualche giorno fa. La giovane attivista curdo-iraniana, sbarcata a Crotone lo scorso 31 dicembre, era stata subito tradotta prima nel carcere di Castrovillari poi in quello di Reggio, con l’accusa di essere una scafista.

«Nei quasi dieci mesi di detenzioni – racconta Maysoon - ho molto sofferto per quello che sentivo dire e leggevo sul mio conto. Io avrei dato ordini sulla barca e consegnato acqua e cibo. Nulla di più falso. Se certamente ci fosse stata la possibilità, avrei aiutato qualcuno ma non è questo il punto. Noi avevamo i nostri zaini con viveri e acqua. Nessuno dava niente ad alcuno. Dunque bugie su bugie ho sentito e ciò mi ferisce ancora oggi molto.

Il mio malessere si ripercuoteva sul sonno. Non riuscivo a dormire e per questo assumevo dei farmaci. Ora ho smesso, anche se ancora non riesco a riposare, pur avendone tanto bisogno. Mi facevano male quelle parole. Per questo adesso la verità deve venire fuori e deve avere voce».

La detenzione e le accuse

Sorride Maysoon ma i segni di una detenzione lunga e faticosa, vissuta come ingiusta. Il suo corpo è gracile e debilitato ma in esso vive uno spirito combattivo pronto ad affermare verità e giustizia sulla sua storia e su quella del suo popolo nel tormentato Kurdistan, silente in Europa.

È stata scarcerata martedì, dopo quasi 10 mesi di detenzione, dal tribunale di Crotone che la sta giudicando e dinnanzi al quale si è sempre proclamata innocente.

Difesa dall’avvocato Giancarlo Liberati, la giovane, adesso a Reggio Calabria, molto dimagrita e che ancora fatica a dormire serenamente, dà fondo a tutte le sue energie per affermare di essere una migrante per motivi politici e non economici e di non essere una scafista.

Manifesta, altresì, l’urgenza di raccontare cosa abbia lasciato dietro di sé, quando per lei e per il fratello Razhan la militanza in favore della causa di libertà e indipendenza da Iran, Iraq, Turchia e Siria del popolo curdo, il loro popolo, stava mettendo a repentaglio la loro vita.

Un’urgenza che nasce dalla necessità di avere una voce nel paese in cui è arrivata in fuga dal proprio, dieci mesi fa e di cui ha finora conosciuto solo il carcere. Nel paese, quale l’Italia, in cui cercava sicurezza e protezione negate in Iran e nel Kurdistan iracheno dove negli ultimi anni era stata, è stata invece accusata di avere tratto profitto da una traversata pericolosa in cui anche lei, come gli altri migranti, ha rischiato di non sopravvivere.

Continua a leggere su IlReggino.it