Benvenuti nel ghetto più grande del Mezzogiorno. Benvenuti a Scordovillo. Siamo a Lamezia Terme, in pieno centro abitato, alle spalle dell’ospedale civile Giovanni Paolo II. È qui che vive una delle comunità rom più numerose d'Europa, in una favelas che tutti vorrebbero smantellare ma che, nonostante i proclami, resta lì, immobile, come il degrado delle baracche costruite alla meno peggio, ricoperte da lamiere di eternit.

L'ingresso del campo rom è una distesa di rifiuti di ogni genere: dai copertoni di auto a vecchi elettrodomestici in disuso. E in mezzo alle buste di spazzatura anche la carcassa di un ratto. La vita qui scorre lenta, le donne badano alla casa e ai figli, mentre gli uomini si dedicano alla raccolta del ferro.

La signora Rosa ha 90 anni suonati. C’è nata qui. E qui probabilmente morirà. Ma qui non ci voleva vivere. Sognava una casa e invece: «Veniamo trattati come ferro vecchio», dice sorridendo.

C’è diffidenza. Nessuno ha voglia di parlare. Le telecamere qui sono entrate tante, troppe volte. Ma neanche i riflettori delle tv nazionali sono riusciti a risolvere la situazione. Neppure quando scoppiò un incendio e la diossina soffocò i residenti e gli ammalati del vicino ospedale, ci fu alcun intervento.

Ma c’è chi da questo ghetto è riuscito a scappare. Lo ha fatto Cosimo, che ha lasciato il suo accampamento per andare ad occupare una casa destinata alle minoranze etniche. Era un abusivo e ha pagato per questo. Due mesi di detenzione.

Le case si trovano in via degli Uliveti. Dignitose esternamente. L’arredamento è sfarzoso e kitsch. Il color oro spicca sulle pareti e sugli arredi. Entriamo nella casa che Cosimo condivide con la sua famiglia: i suoi quattro figli e la moglie.

«Quando siamo arrivati qui, otto anni fa, non c'era quasi niente», ammette Cosimo Bevilacqua, rom, 40 anni, con cittadinanza italiana. Le fogne non sono collettate, l’energia è collegata ai pannelli solari. Si sono arrangiati a spese loro. Dei 20 alloggi, solo alcuni sono occupati abusivamente.

Mimmo Gianturco, consigliere comunale d’opposizione, questi luoghi li conosce bene. È lui che ci accompagna in questo viaggio. «I rom da questo ghetto se ne vorrebbero andare e le case ci sarebbero pure», dice. Pochi chilometri più a ovest di Lamezia, ci sono infatti alcune palazzine di edilizia residenziale pubblica. Case popolari di proprietà dell’Aterp. Il mai finito calabrese. Costruite negli anni '90, ma mai ultimate. Immobili che potrebbero accogliere una buona parte delle oltre cento famiglie rom.

«Non si risolverà niente. Nulla cambierà – dicono dal campo -. Manderanno qualcuno a pulire l’esterno e poi non succederà più nulla. E noi continueremo a sopravvivere qui – replica una donna - Siamo utili solo in campagna elettorale, quando lo sgombero di Scordovillo diventa il problema dei problemi».