Abbandonato a se stesso, si accartoccia sempre più l’ex opificio di Lamezia Terme. Quello che all’epoca della sua inaugurazione, nel 1969, fu l’olificio più grande della Calabria, oggi è una sorta di ghost town. Ma se da un lato tutto sembra essersi fermato e cristallizzato, dall’altro ci sono i segni viventi di un microcosmo che si muove, di attività non legali, presenze anomale e anche tanta miseria.

 

Ci sono voluti mesi, ma alla fine l’esponente di Patto Sociale Giancarlo Nicotera, che da tempo con esposti in Procura e denunce aveva cercato di attirare l’attenzione su questo immenso bene regionale costato all’epoca nove miliardi di vecchie lire, è riuscito ad avere un sopralluogo di una delegazione della Regione in quella che sembra essere diventata terra di nessuno.

 

E anche ora entrare non è stato semplice. Come era già accaduto a Nicotera minacciato da un uomo, un sorvegliato speciale che vive in quello che rimane di questo baluardo di architettura industriale, per la stampa e per gli stessi rappresentanti della Regione è stato necessario superare le resistenze dell’ “inquilino” e fare intervenire i carabinieri.

 

Perché l’ex opificio, finanziato con fondi europei e costato 9 miliardi delle vecchie lire, dalla raffineria d’olio più grande della Calabria, con macchine sofisticate mai messe in funzione e metri su metri quadrati di impianti, è diventato scrigno di pratiche probabilmente non legali. Già nel passato qui erano stati scoperti traffici illeciti di rifiuti e le testimonianze su continui via via di camion portano a far pensare che ancora qualcosa qui avvenga. Di rifiuti, speciali e non, qui non ne mancano.

 

Dai rifiuti ingombranti, alle biciclette, alle moto, fino a cartoni e materiale di ogni tipo. Per non parlare dell’amianto, presente ovunque. La raffineria, nata nel 1969, faceva parte integrante del progetto Feoga (Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia) che in Calabria aveva istituito altri due centri per il trattamento delle olive: il primo era a Rossano per la raccolta e il secondo a Eranova per l’imbottigliamento. L’opificio è di proprietà della Regione Calabria, dell’Esac-Arssa.

 

Dal 2018 è stato inserito tra i beni alienabili e/o da valorizzare. Al momento l’ex opificio è diventato un rifugio. Rifugio per senza tetto che vi vivono in condizioni di estremo degrado. Sedili d’auto utilizzati come sedie, materassi di fortuna, cucine arrangiate in edifici che perdono letteralmente pezzi. Ma non solo. Su alcune pareti campeggiano inquietanti scritte e simboli, forse legate a riti satanici e il corposo numero di preservativi fa pensare che possa esserci qualche giro di prostituzione.

 

E pensare che qui prima scorreva la Ferrovia. Sono rimaste a testimoniarlo le traversine. A prendere parte al sopralluogo anche l’associazione Ferrovie In Calabria che vorrebbe ricreare l’auspicato collegamento tra Lamezia Terme Centrale e Catanzaro. Tanto, molto si potrebbe fare in un’area così vasta e ampia, a pochi passi da aeroporto e stazione. Un luogo abbandonato e dimenticato, tanto che la Regione solo lo scorso anno l’ha inserita nei beni alienabili. Un luogo diventato terra di nessuno.