In guerra, la prima vittima è la verità. Così, per Mosca, quello che sta succedendo in Ucraina non è una guerra, non è un’invasione, ma si tratta solo di “operazioni militari speciali”. In Russia ogni altra definizione è vietata, bandita. Chi sgarra rischia 15 anni di galera, se va bene.

Una negazione della realtà che ieri ha spinto il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, in Turchia per un tentativo di mediazione di Ankara poi naufragato, ad affermare: «Non abbiamo mai attaccato l'Ucraina».

Eppure i milioni di profughi, le fosse comuni per seppellire i cadaveri che si ammassano, le bombe su Mariupol e sul reparto di Maternità e Ginecologia del suo ospedale, l’assedio di Kiev, l’attesa carica di terrore di Odessa, raccontano una storia diversa che nessun eufemismo di regime può nascondere. Il tentativo di avvelenare i pozzi dell’informazione ha possibilità di successo soltanto in Russia, dove la propaganda è agevolata dal solidissimo sentimento di identità nazionale che pervade la maggior parte della popolazione. Quante volte in questi giorni abbiamo sentito dire che la Russia non è (solo) Mosca o San Pietroburgo, ma anche e soprattutto una miriade di piccole città e villaggi, dove la maggioranza probabilmente neppure sa di essere in guerra con i “cugini” ucraini.

Una guerra brutale, che vede l’uso di armi terribili, come le bombe termobariche, che quando esplodono aspirano e bruciano in una frazione di secondo tutto l’ossigeno presente nell’area d’impatto, anche quello nei polmoni delle persone che vengono letteralmente vaporizzate.
Un conflitto che sta uccidendo i civili e sta minando l’economia mondiale, a cominciare proprio da quella russa, colpita in maniera durissima dalle sanzioni imposte dall’Occidente.

Una guerra, e questo è il paradosso più drammatico, che Putin ha già perso, anche se sul campo la sta vincendo grazie a una potenza di fuoco non paragonabile a quella degli avversari. Nonostante la strenua resistenza dell’esercito e del popolo ucraino, che hanno mandato a monte il progetto di una guerra lampo, il Cremlino sta intensificando l’offensiva, puntando anche all’Ucraina dell’ovest, a poca distanza dal confine polacco.

Ma alla fine, anche se la Russia dovesse conquistare ogni città ucraina e dovesse riuscire a istaurare un regime fantoccio uccidendo o costringendo alla fuga il premier Zelensky, sarebbe costretta a piantare la sua bandiera su un cumulo di macerie. Formate non soltanto da palazzi e ponti distrutti, fabbriche in fiamme e veicoli accartocciati, ma anche dallo sgretolamento del suo ruolo sulla scena internazionale. Chi si fiderà più di un paese invasore, capace nel 2022 di scatenare una guerra in Europa? Chi investirà più i propri soldi in un paese che ora è pronto a nazionalizzare le grandi imprese straniere (in altre parole, impossessarsi di beni e strutture che non gli appartengono). Chi stringerà quella mano senza temere che prima o poi non gli venga stritolata?

L’isolamento che sta scontando la Russia da quando ha fatto ripiombare il mondo nei drammi e nelle paure del ‘900, non è soltanto effetto delle durissime sanzioni economiche, ma è soprattutto una netta presa di distanza politica e civile che avrà conseguenze, forse irreversibili, anche quando i cannoni avranno smesso di sputare morte. Ecco perché la Russia ha già perso anche se sta vincendo.

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