«Io sono la voce di mio figlio»: parla la mamma dell'alunno disabile escluso dalla gita

VIDEO | La donna racconta con quale stupore e dispiacere ha scoperto che il ragazzino era stato "dimenticato" a scuola, costretto a restare solo in classe perché nessuno aveva avvertito la famiglia del viaggio di studio in programma. Ora l’istituto di Catanzaro vuole rimediare con una nuova escursione: «Non ci interessa, il vero problema è quello che è successo»

di Rossella  Galati
24 maggio 2019
15:34

È martedì mattina e come tutti gli altri giorni Luca, nome di fantasia di un 13 enne catanzarese affetto da un problema neurologico, con un deficit verbale, viene accompagnato dalla sua mamma a scuola, un istituto comprensivo della città capoluogo dove frequenta la prima media. Come tutti i giorni è accolto dal personale scolastico ed entra in classe ma lì l’amara sorpresa: i suoi compagni non ci sono e lui rimane solo. Nessuno aveva avvisato la famiglia del viaggio di istruzione a Matera dal quale è rimasto escluso. È stato un incontro casuale, uno scambio di battute tra la mamma di Luca e alcuni ragazzini dello stesso plesso a far crollare il mondo addosso al 13enne e alla sua famiglia. «Ho incontrato questi ragazzi che frequentano la scuola di mio figlio per strada e ho chiesto come mai non fossero andati a scuola. E' stato solo allora che ho saputo della gita a Matera, loro avevano preferito rimanere a casa mentre i compagni erano partiti il giorno prima. Le lascio immaginare come sono rimasta. Ancora mi devo riprendere».

La rabbia di una madre

Rabbia e dolore sono le prime sensazioni che invadono il cuore di questa mamma alla quale le è stato detto che si sarebbe trattato di una dimenticanza. «Io non do la colpa solo al professore di sostegno ma a tutti – dice -. Avranno consegnato dei modellini, avranno raccolto le adesioni e le autorizzazioni per il viaggio. Nessuno si è chiesto dove fossero quelle di mio figlio. Mio figlio ha un problema neurologico, conosce molti vocaboli, riesce ad esprimere i suoi bisogni ma non fa discorsi. Se anche a scuola hanno parlato della gita in sua presenza, lui non è in grado di riferirlo. Arrivati a questo punto devo pensare che forse speravano che io non lo venissi a sapere. Sicuramente avrei mandato mio figlio in gita perchè lui ama viaggiare. Noi abbiamo sempre la valigia pronta in casa, chi ci conosce lo sa. Avrei anche potuto decidere di non mandarlo ma comunque avrei dovuto decidere io, non altri al posto mio».


«Siamo feriti»

Proviamo a rintracciare il dirigente scolastico per chiedere spiegazioni ma senza successo. A scuola ci dicono che è in riunione in un altro plesso, probabilmente quello di Luca, e al telefono non risponde. «Ho incontrato la preside – ci racconta ancora la madre di Luca – dice che era allo scuro di tutto e ci credo. Si è scusata e ora vuole organizzare una gita di un giorno per rimediare all’accaduto ma sinceramente noi non ce la sentiamo. Il problema non è la gita in sé. E’ come è stato gestito il tutto che ci ferisce. Non possono risolvere la cosa in questo modo.  Chi deve pagare, pagherà. Il nostro legale farà tutto quello che c’è da fare.

Persone speciali

Con gli occhi lucidi e lo sguardo ancora incredulo questa mamma cerca di nascondere al figlio la sua preoccupazione: «Non voglio farmi vedere agitata da lui. Il giorno stesso in cui ho saputo che Luca era rimasto solo in classe non sono andata a scuola a riprenderlo. Essendo un bambino abitudinario, ho rispettato la sua routine. Se fossi andata prima lo avrei disorientato. In questo momento io non sono la mamma del bambino, io sono il bambino, io sto parlando per lui, con la sua voce, e lo faccio anche per tutti i ragazzini che in molti casi vengono considerati solo dei numeri ma invece sono persone sensibili e capiscono molto di più di quanto non possiamo immaginare. Spero che una cosa del genere non si ripeta più, per nessuno». Avere un figlio disabile vuol dire combattere tutti i giorni per garantire serenità e normalità e «Quel poco di cui possono godere  questi ragazzi – sottolinea la mamma di Luca – la società non glielo deve togliere».

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