Nulla da fare in Cassazione per il processo nato dall’operazione antimafia denominata “Black money” contro il clan Mancuso scattata nel marzo del 2013. La Suprema Corte ha infatti dichiarato inammissibili sia il ricorso della Procura generale di Catanzaro, sia quelli dei difensori degli imputati. Resta dunque confermata la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Catanzaro il 12 novembre 2019, a sua volta confermativa dell’operato dei giudici del Tribunale collegiale di Vibo Valentia. In particolare, la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulle posizioni di: Antonio Mancuso, 83 anni, Giovanni Mancuso, 80 anni, Pantaleone Mancuso, 60 anni, alias “Scarpuni”, tutti di Limbadi, Agostino Papaianni, 70 anni, di Coccorino di Joppolo, Gaetano Muscia, 57 anni, di Tropea, Antonio Prestia, 53 anni, di San Calogero.

Il ricorso in Cassazione nei confronti dei tre Mancuso, oltre che dalle difese, era stato presentato anche dalla Procura generale di Catanzaro alla quale non erano andate giù le motivazioni della Corte d’Appello che il 12 novembre del 2019 – al pari della sentenza di primo grado del Tribunale collegiale di Vibo Valentia – hanno ribadito il totale vuoto probatorio dell’accusa in ordine al reato di associazione mafiosa.

Queste, dunque, le pene che vanno definitive: Antonio Mancuso che in appello è stato condannato a 5 anni per il solo reato di estorsione (a fronte di una richiesta di pena in primo grado avanzata dal pm Marisa Manzini pari a 27 anni di reclusione), Giovanni Mancuso condanna a 9 anni per il reato di usura (l’accusa in primo grado aveva chiesto per lui 29 anni di reclusione, così come in appello); assoluzione per Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni”, è stato assolto (assolto quindi nei tre gradi di giudizio laddove il pm in primo grado aveva chiesto 26 anni e 6 mesi di reclusione e 18 in appello). Le altre condanne in appello che sono state ora confermate dalla Cassazione sono le seguenti: 7 anni e 8 mesi per Agostino Papaianni (l’accusa in appello aveva chiesto per lui 23 anni e 8 mesi); 7 anni Gaetano Muscia (così come in primo grado), 5 anni e 6 mesi Antonio Prestia (così come in primo grado).

Antonio Mancuso era difeso dall’avvocato Giuseppe Di Renzo, Giovanni Mancuso dagli avvocati Vincenzo Maiello, Maurizio Nucci e Francesco Schimio, Pantaleone Mancuso dagli avvocati Francesco Sabatino e Francesco Calabrese, Agostino Papaianni dagli avvocati Michelangelo Miceli e Salvatore Staiano, Gaetano Muscia dall’avvocato Giovanni Vecchio, Antonio Prestia dall’avvocato Sabatino.

Alla luce della sentenza rischiano di andare in carcere per espiare la pena Giovanni Mancuso e Gaetano Muscia. Agostino Papaianni, Antonio Prestia e Antonio Mancuso si trovano già detenuti per altro. In Cassazione hanno discusso gli avvocati Salvatore Staiano, Michelangelo Miceli, Francesco Sabatino, Giuseppe Di Renzo, Giovanni Vecchio e Vincenzo Maiello.

In primo grado la pubblica accusa dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia (Vicenza Papagno presidente, giudici a latere Pia Sordetti e Giovanna Taricco) era stata sostenuta dal pm Marisa Manzini che aveva coordinato l’intera operazione antimafia (unitamente all’allora procuratore Giuseppe Borrelli) e che, al termine della requisitoria, aveva chiesto condanne complessive pari a 229 anni di carcere ottenendone in totale 47. In appello l’accusa era stata sostenuta invece dal pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaciapplicata per tale processo alla Procura generale.

I giudici di merito nel mandare assolti gli imputati dal reato di associazione mafiosa in primo e secondo grado avevano parlato nelle motivazioni delle sentenze di indagini lacunose con ben poche prove in ordine al reato associativo. Per tutti gli imputati ai “fini della contestazione associativa le vicende trattate non hanno fornito alcun contributo – avevano scritto i giudici di merito – in ordine alla ricostruzione della compagine e dell’operatività della stessa”. La pubblica accusa non avrebbe tenuto in alcun conto, ad avviso dei giudici di primo e secondo grado, degli insegnamenti della giurisprudenza della Cassazione in tema di associazione mafiosa. Cassazione che ora farà conoscere le ragioni del rigetto dei ricorsi di accusa e difesa fra 90 giorni.