Al centro delle indagini, che ieri hanno portato alla maxi retata contro il clan Grande Aracri di Cutro, è finito anche un avvocato romano, Giovanni Benedetto Stranieri, 52 anni, del foro di Roma ma originario della provincia di Lecce.

 

Stranieri, scrivono i magistrati nelle 1300 pagine dell’ordinanza “si occupava, pure in assenza di mandato difensivo, e con l’avvicinamento di soggetti gravitanti in ambienti giudiziari della Corte di Cassazione, anche remunerandoli, delle vicende giudiziarie di appartenenti alla cosca, in particolare al fine di ottenere decisioni giudiziarie favorevoli ad Giovanni Abramo, intraneo al sodalizio di cui è esponente di rilievo”. In particolare, secondo gli inquirenti, Stranieri avrebbe esercitato “pressione” su un magistrato in vista della decisione sull'ordinanza di carcerazione di Giovanni Abramo, condannato in primo e secondo grado perché ritenuto responsabile dell'omicidio di Antonio Dragone.

 

Nell’ordinanza si legge, infatti, che Stranieri sarebbe intervenuto “mettendo a disposizione degli interessi della cosca ed in particolare del suo capo la propria attività ben oltre i limiti del mandato difensivo, svolgendo in particolare funzione di tramite tra associati e Nicolino Grande Aracri nel corso della sua detenzione, e tra questi ed esponenti di organizzazioni che costituiscono ramificazione autonome al Nord Italia della Locale di Cutro, in relazione alle attività delittuose e/o economiche cui era interessata la consorteria di Cutro così illecitamente consentendo a Grande Aracri Nicolino di controllare con disposizioni e direttive le attività illecite della cosca medesima”.

 

Inoltre l’ avvocato in questione metteva “a disposizione della cosca ed in particolare degli esponenti di vertice, con cui manteneva stretti contatti, le sue relazioni personali in ambienti ecclesiastici romani e in ordini di cavalierato e assicurando i rapporti dei vertici del sodalizio criminoso con tali ambienti, e attivando, quale soggetto che poteva contare sulla disponibilità e compiacenza di esponenti di rilievo di tali ambienti, i necessari contatti con esponenti di tali ambienti per risolvere i più impellenti problemi giudiziari degli affiliati e nello specifico per consentire l’avvicinamento del genero di Nicolino Grande Aracri, Giovanni Abramo, detenuto a Sulmona ad un carcere Calabrese e quindi più vicino alla zona di operatività del sodalizio, consentendo ai membri di vertice del sodalizio una più efficace correlazione con il soggetto detenuto, e con tali condotte agevolando le attività del sodalizio che risultava rafforzato nella sua capacità operativa, e nel conseguimento dei suoi scopi con un accresciuto senso di sicurezza e una maggiore manifestazione della capacità di intimidazione e condizionamento”.