La sentenza

Omicidio Pagliuso: diventa definitivo l’ergastolo per Luciano Scalise, mandante e organizzatore dell’agguato all’avvocato lametino

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso. Rigettato quello del padre Pino, condannato a 21 anni per associazione mafiosa e sequestro di persona 

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di Luana  Costa
4 luglio 2024
23:04
L’avvocato Pagliuso
L’avvocato Pagliuso

Diventa definitiva la sentenza emessa dalla Corte d'Assise d'Appello di Catanzaro nei confronti di Pino e Luciano Scalise. Quest'ultimo già riconosciuto dai giudici di secondo grado quale mandante ed organizzatore dell'omicidio di Francesco Pagliuso, avvocato lametino ucciso in un agguato dinnanzi la sua abitazione di Lamezia Terme nell'agosto del 2016. 

La Cassazione, nella sentenza emessa questa sera, cristallizza la pena dell'ergastolo per Luciano Scalise e la condanna a 21 anni di reclusione per il padre Pino, per il reato di associazione mafiosa e sequestro di persona. Assolto dal reato di omicidio. I giudici di legittimità hanno, infatti, dichiarato inammissibile il ricorso proposto da Luciano Scalise e rigettato quelli avanzati da Pino Scalise, Andrea Scalzo (7 anni di reclusione) e Vincenzo Mario Domanico (6 anni e 8 mesi di reclusione). Annullamento con rinvio, invece, è stato disposto per Angelo Rotella, la Corte d'Assise d'Appello dovrà rideterminare la pena.


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È nelle motivazioni della sentenza di secondo grado che la Corte ricostruisce i contorni dell'omicidio. Il via libera all'agguato, organizzato e voluto da Luciano Scalise, sarebbe arrivato «direttamente dalla famiglia Iannazzo, sotto la cui protezione si trovavano sia Giovanni Vescio che Francesco Iannazzo, i due uccisi da Domenico Mezzatesta, nonostante la loro intraneità al gruppo Scalise di cui verosimilmente costituivano il trade union». Non dal padre Pino Scalise assolto, appunto, dall'accusa di omicidio.

Luciano Scalise avrebbe così potuto agire senza l'avallo del padre, «molti collaboratori hanno dichiarato che i figli spesso agivano d'iniziativa senza consultare il padre, oppure informandolo a cose fatte». Nella ricostruzione degli equilibri criminali, era stato confermato come il delitto del penalista lametino «si inquadri nella faida tra la cosca Scalise e la famiglia Mezzatesta» e l'avvocato era «riuscito ad ottenere un importante risultato difensivo» nell'ambito del processo per il duplice omicidio di Giovanni Vescio e Francesco Iannazzo «evitando l'ergastolo ai suoi assistiti»: Giovanni e Domenico Mezzatesta.

Le parti civili nel processo sono state rappresentate dagli avvocati Giuseppe Zofrea, Nunzio Raimondi, Salvatore Staiano, Enzo Galeota e Bonaventura Candido. Gli imputati sono stati difesi dagli avvocati Pietro Chiodo, Stefano Nimpo, Giorgio Vianello.

Giornalista
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