Omicidio di Santo Nigro, la condanna a morte del clan per dare una lezione a tutti

Attraverso i verbali dei collaboratori di giustizia, la Dda di Catanzaro ricostruisce fatti e circostanze del delitto commesso a Cosenza il 18 novembre 1981. A sparare fu Aldo Acri, reo confesso di dieci omicidi, collaboratore di giustizia dal 1996

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di Salvatore Bruno
6 marzo 2020
16:06

L'omicidio di Santo Nigro si era consumato al civico 144 di Via Popilia a Cosenza, in una fredda serata, il 18 novembre 1981, nel tratto mediano della lunga arteria, dove oggi è ubicato l'ufficio postale.

Non voleva pagare il pizzo

I sicari, con il volto coperto da passamontagna, hanno ucciso l'imprenditore a colpi di arma da fuoco, ferendo gravemente anche il figlio Silvio, all'epoca dei fatti 19enne. Quasi quarant'anni dopo il delitto, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, guidata da Nicola Gratteri, il gip di Catanzaro ha disposto l'arresto dei presunti responsabili, Mario Pranno, 64 anni, e Francesco Cicero di 59.
L'assassinio sarebbe scaturito dal rifiuto opposto dall'imprenditore alle incessanti richieste estorsive della cosca Perna-Pranno, in quella fase impegnata a ribadire il predominio sul territorio in contrapposizione al clan Pino-Sena durante la guerra di 'ndrangheta che insaguinava in quegli anni bui il capoluogo bruzio.


Gli altri indagati

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, avvalorata dai verbali resi da alcuni collaboratori di giustizia, Mario Pranno ordinò la condanna a morte di Nigro mentre Francesco Cicero fece parte del gruppo di esecutori materiali. L'inchiesta è coordinata dal procuratore capo Gratteri, dall'aggiunto Vincenzo Capomolla e dal sostituto Vito Valerio. Per l'omicidio sono indagati in concorso altri quattro soggetti, tutti esponenti della consorteria dei Perna-Pranno. Si tratta dei collaboratori di giustizia Aldo Acri e Francesco Saverio Vitelli, entrambi di 62 anni, di Pasquale Pranno, 57 anni attualmente detenuto e di Antonio Musacco di 73 anni.

La condanna dei vertici della cosca

Secondo la ricostruzione della Procura distrettuale, a commettere l'omicidio fu Aldo Acri, con una calibro 38 mentre Francesco Cicero faceva parte del commando insieme ad un terzo componente, Carmine Luci, oggi deceduto. Entrambi impugnavano una 7,65. Acri e Cicero, insieme ad un altro componente di spicco della cosca Perna-Pranno, Roberto Pagano, avevano più volte richiesto il pizzo a Nigro, titolare in Via Popilia di un negozio di abbigliamento e calzature. Questi però si era opposto, respingendo in malo modo il gruppo criminale.

Informati del tentativo di estorsione andato a vuoto, i capi clan Mario e Pasquale Pranno, Antonio Musacco e Francesco Saverio Vitelli, ritenendo inaccettabile che qualcuno potesse rifiutarsi di pagare e che quell'esempio potesse poi essere seguito anche da altri imprenditori, decisero di punire severamente il Nigro, affidando ad Acri e Cicero il compito di assassinarlo. Bisognava dare una lezione a tutti.

L'assenso dalle celle del carcere

Della commissione dell'omicidio sarebbe stato informato anche l'altro leader della consorteria, Francesco Perna, all'epoca detenuto in carcere, che avrebbe fornito il proprio assenso. Nel corso delle indagini inoltre, sarebbe emerso che successivamente all'omicidio i familiari della vittima, titolari di un analogo negozio anche in Via Panebianco, iniziarono a pagare una tangente mensile di 500mila lire.

Il primo omicidio di Aldo Acri 

Acri iniziò a collaborare con la giustizia nel 1996 durante la celebrazione del processo Garden, assumendosi la responsabilità di dieci omicidi tra i quali proprio quello di Santo Nigro, ammettendo per la prima volta le proprie responsabilità in un interrogatorio del settembre 1997.

Quello ai danni dell'imprenditore di Via Popilia fu per Acri il primo omicidio commesso nella sua carriera criminale. Utilizzò una calibro 38 fuggendo poi, secondo la ricostruzione degli inquirenti, a bordo di una Fiat 127 nella quale attendevano nelle vicinanze, Mario Pranno e Francesco Saverio Vitelli.

Il ruolo di Mario Pranno

Mario Pranno era diventato collaboratore di giustizia durante il processo Garden, ottenendo così i benefici riconosciuti dalla legge che gli consentirono di evitare il carcere a vita. Venne condannato a vent'anni di reclusione ma nel marzo del 2000 abbandonò la località protetta in cui era confinato.
Fu poi arrestato a dicembre di quello stesso anno nel quartiere di San Vito Alto a Cosenza, la sua roccaforte. Dopo una lunga detenzione nel giugno del 2015 era stato scarcerato.

Le esigenze cautelari

Nelle richieste di carcerazione, la Procura ritiene sussista il pericolo concreto che Mario Pranno e Francesco Cicero possano commettere reati violenti avendo fornito ampia dimostrazione di far parte di strutture associative con organizzazione capillare e disponibilità di uomini e mezzi per lo svolgimento di attività illecite.

Il gip distrettuale riconosce per i due indagati gravi indizi di colpevolezza ritenendo necessaria la detenzione preventiva in ordine alla pericolosità dei due soggetti. Respinge invece una terza richiesta cautelare a carico di Pasquale Pranno, ritenendo che le accuse a suo carico non siano sufficientemente circostanziate.

Giornalista
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