Pedinato da mesi avrebbe perso il controllo, paura e rabbia che agiscono come detonatori della follia omicida. Così Giuseppe Mazzaferro avrebbe confessato al gip il contesto nel quale sarebbe maturata l’uccisione del pregiudicato Massimo Lo Prete, detto Mangiapanini, avvenuta a Gioia Tauro nella notte tra venerdì e sabato. Ed è proprio sulle ore che precedono il delitto si concentra l’ordinanza di convalida del fermo vergata dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Palmi.

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Nel documento vengono riportate le dichiarazioni di un testimone, indagato a piede libero, che avrebbe preso parte, pare in maniera del tutto inconsapevole, all’omicidio. La paura e l’orrore per quanto era stato costretto ad assistere poche ore prima lo avrebbe spinto a recarsi ai carabinieri per raccontare tutto.

Cronaca di un omicidio

Un forte stato d’ansia e la paura di possibili ritorsioni da parte di Lo Prete, quindi, avrebbe portato Mazzaferro al punto di non ritorno: fare fuoco e uccidere l’uomo che lo pedinava da tempo. Una versione, quella data dall’indagato al gip, che trova conferma anche nel racconto del testimone. Il racconto parte dalla mattina che precede l’omicidio. L’uomo e Mazzaferro sono insieme quando sopraggiunge il fratello dell’indagato, Rosario Mazzaferro. «Dunque  - si legge nell’ordinanza - in questo frangente, Giuseppe iniziava ad aprire il discorso con Rosario, ovvero che il soggetto soprannominato Mangiapanini, ovvero il defunto Lo Prete Massimo, lo seguiva insieme ad altri due ragazzi di cognome Modaffari; Rosario lo rassicurava e diceva che se la sarebbe vista lui, Giuseppe attribuiva l’origine delle discordie col Lo Prete a degli schiaffi presi, per questioni legati ad una ragazzina, da un certo Modaffari della Marina di Gioia Tauro e ad un diverbio avuto con la signora della pizzeria ove si è consumato l’evento, evento accaduto circa dieci anni fa».

Secondo il testimone, Rosario Mazzaferro sarebbe intervenuto con un parente di Lo Prete per venire a capo di questa storia. Una discussione nella quale l’interlocutore avrebbe rassicurato Mazzaferro. La situazione, però, sarebbe sfuggita di mano nel volgere di poche ore.

«Mi fermavo dunque – spiega il testimone - sotto casa di Mazzaferro Giuseppe ad aspettarlo ed, in questo frangente, notavo che effettivamente Lo Prete Massimo si fermava sotto casa sua, per quindici minuti circa, lo riferivo a Giuseppe quando poi, con ritardo scendeva, e Giuseppe diceva “questo mi fa uscire pazzo”… Con mio cugino Giuseppe abbiamo dunque fatto un giro, passando anche sotto casa del Lo Prete, al fine di trovare il Lo Prete per parlargli, lo abbiamo trovato parcheggiato alla colonnina della Q8, Giuseppe mi invitava a mettermi davanti, io invece ho detto “no, mettiamoci di lato, così possiamo parlare”, ho abbassato il finestrino e gli ho detto “ciao massimo”, dopodiché il pandemonio, ho visto il pandemonio davanti a me, Giuseppe ha estratto una grossa pistola dal borsello marrone che aveva con sé, ed ha ripetutamente sparato al Lo Prete Massimo».

L’arresto di Mazzaferro

Nell’ordinanza viene anche spiegato dai carabinieri in maniera dettagliata come i militari sono riusciti nel volgere di poche ore a rintracciare e arrestare Giuseppe Mazzaferro, dopo avere appreso dal testimone l’identità del killer che la sera precedente aveva ucciso Lo Prete.

«Nella mattinata odierna, a seguito di approfondimenti info-investigativi e di controllo del territorio continuati per tutta la nottata da parte della generalità dei reparti coinvolti – si legge nel documento - si aveva contezza della possibile presenza del Mazzaferro presso contrada Manduca del comune di Rizziconi. In particolare, si decideva di sottoporre a perquisizione una casa di campagna… per cui gli operanti raggiungevano l’abitazione provvedendo ad una forma di cinturazione, in uniforme, qualificandosi ad alta voce… Nel prosieguo della manovra di accesso al predetto immobile e con il consenso del proprietario di casa, il personale operante accedeva all’interno dell’abitazione dove, dopo aver controllato i locali, nell’ultima stanza, rintracciavano Giuseppe Mazzaferro, che veniva assicurato al dispositivo. Successivamente, dopo che il Mazzaferro, a specifica domanda rispondeva di non essere armato ma di avere nella sua disponibilità una pistola nelle pertinenze dell’abitazione, tenuto conto delle circostanze, i suddetti militari procedevano a perquisizione personale... I carabinieri, anche con le indicazioni ricevute dal Mazzaferro, rinvenivano, all'esterno dell’abitazione, nelle immediate adiacenze, sopra un tavolo di legno con materiale vario, in un borsello a tracolla, una pistola marca FN (Fabriaue Nationale), calibro 9x21 (non censita in banca dati), con 13 colpi nel caricatore ed uno in canna, pronta all’uso. L’arma veniva posta in condizioni di sicurezza. Il tutto veniva posto sotto sequestro. In totale, tra l'altro, venivano rinvenute, complessivamente 51 munizioni cal. 9x21, contante vario per un totale di 2.683.50 euro».