La Suprema Corte deposita le motivazioni del verdetto. La vittima uccisa con un fucile da caccia. Inammissibili i ricorsi della difesa
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Tre condanne in Cassazione per l’omicidio di Michele Franzè, 69 anni, ucciso il 9 gennaio 2014 nella sua abitazione rurale sita in contrada Salice nel comune di Galatro, nel Reggino. La Suprema Corte ha confermato il verdetto emesso l’11 novembre 2020 dalla Corte d’Assise di Appello di Reggio Calabria condannando i fratelli Daniele e Giuseppe Matalone, rispettivamente di 31 e 34 anni, entrambi di Monsoreto di Dinami, alla pena di 24 anni di reclusione a testa. Nei loro confronti in primo grado l’accusa aveva chiesto la condanna all’ergastolo. La riduzione di pena operata già dalla Corte d’Assise di Palmi (confermata poi dalla Corte d’Assise di Appello di Reggio) è dovuta alla caduta delle aggravanti dei futili motivi e della premeditazione del delitto. I due fratelli erano accusati di aver sparato quattro colpi di fucile da caccia calibro 12 a carica multipla contro Michele Franzè, cagionandone la morte per insufficienza respiratoria acuta da shock meta-emorragico da lesioni multiple a livello del cranio, dell’addome e del torace. Pena sospesa, invece per Carlo Mercuri, 31 anni, pure lui di Dinami (in primo grado era stato condannato a 2 anni e 8 mesi) che doveva rispondere del reato di favoreggiamento personale. Era accusato di aver aiutato i fratelli Matalone ad eludere le investigazioni raccontando fatti che, ad avviso degli inquirenti, non corrispondevano a verità.
Alla luce della sentenza anche della Suprema Corte – che ha depositato le motivazioni – viene meno la contestata aggravante (motivi abietti e futili e premeditazione) di aver commesso il fatto per contrasti di natura economica insorti alla fine dell’anno 2013 e per via della decisione della vittima di interrompere la fornitura gratuita di energia elettrica e di acqua in favore dei Matalone. I due fratelli Matalone erano poi accusati di detenzione illegale e porto in luogo pubblico di un’arma da fuoco, ovvero un fucile da caccia calibro 12 a carica multipla. Nel corso delle investigazioni erano state raccolte numerose fonti di prova che hanno consentito innanzitutto di collocare i due imputati sul luogo dell’omicidio in un arco temporale compatibile con l’ora di commissione del delitto. L’attenta analisi delle dichiarazioni rese dai testimoni, incrociate con il contenuto delle intercettazioni, hanno permesso di smascherare – ad avviso degli inquirenti – il piano elaborato dagli imputati e finalizzato a costruirsi falsi alibi che potessero di volta in volta giustificare gli indizi emersi nei loro confronti.
I contrasti con la vittima, secondo i giudici sarebbero sorti “anche dalle molestie sessuali che Michele Franzè” avrebbe “compiuto nei confronti della sorella dei Matalone e della moglie di Giuseppe Matalone, le quali si recavano nella sua abitazione per fare le pulizie”.
I giudici hanno individuato il movente del delitto nei numerosi motivi di contrasto tra il nucleo familiare Sorgiovanni/Matalone e la vittima: “il contrasto veniva ritenuto ampiamente provato nonostante i tentativi degli imputati e dei familiari di negarlo. Contrasti confermati da un teste e derivavano sia da motivi di natura economica, sia dalle avances fatte dalla vittima a due donne”.
La responsabilità per il delitto veniva attribuita ad entrambi i fratelli Matalone per l’esito della prova dello stub nonché per il fatto che “entrambi erano coinvolti nei contrasti con Michele Franzè, avevano insieme concordato la versione dei fatti e agito per indurre i familiari a presentare versioni adeguate”. Tutti i ricorsi sono stati ritenuti inammissibili dalla Cassazione.