VIDEO-FOTO | Dopo la prima frana dell’aprile scorso, l’ex capo della Protezione civile calabrese aveva previsto cosa sarebbe successo nel breve periodo. Ora avverte: «Tutta l’area è a rischio, occorre impedire che i curiosi continuino ad accedere. E poi bisogna salvare la rupe»
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«Le frane sono come i tumori: all’inizio il problema si può risolvere e circoscrivere, ma se si lascia che crescano allora diventa tutto più difficile e costoso». Carlo Tansi, geologo ed ex direttore della Protezione civile calabrese, usa un paragone esplicito per descrivere quello che sta succedendo a Tropea, dove nel giro di un mese e mezzo due crolli hanno pregiudicato la tenuta dello scoglio dove sorge il santuario di Santa Maria dell’Isola. Un luogo che per chi conosce la Calabria solo dai depliants è la Calabria stessa. Come la Torre Eiffel e il Colosseo lo sono per Parigi e Roma. Un brand identitario oggi sfregiato da due frane che hanno sbriciolato la roccia di arenaria, cambiando forse per sempre la fruizione di questo posto bellissimo e delicato.
Il primo cedimento è avvenuto il 7 aprile scorso, quando a venire giù è stata l’intera falesia esposta al mare e al moto ondoso. Ieri, invece, è crollato un diaframma di roccia che incombeva sull’entrata a nord del tunnel di pietra che si dipana nelle viscere dell’Isola.
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«Non ci voleva un mago per immaginare cosa sarebbe successo», continua Tansi, che dopo il crollo dell’aprile scorso, proprio attraverso le colonne di LaC News24, aveva avvertito: «Servono interventi urgenti, non c’è più tempo. Qui viene giù tutto». Non una previsione nefasta, ma una semplice considerazione dettata dall’esperienza e dalla competenza scientifica. E, in effetti, così è stato. Nel pomeriggio di giovedì, un nuovo boato, una grande nuvola di polvere e un altro pezzo di Calabria è finito in briciole di terra.
A sentire oggi il sindaco di Tropea, Giovanni Macri, non c’è nulla di strano: «Quella crollata è solo una parte; sarà necessario disgaggiare anche l’altra». In parole più semplici: abbattere. Quale sia “l’altra” e come verrà “disgaggiata” per ora non si sa. Resta il fatto che la natura, come ammette il primo cittadino, «ha semplicemente anticipato l’intervento già programmato». Ok, ci sta. Falesie marine crollano in tutto il mondo con periodica spettacolarità. Basti pensare a cosa avviene alle bianche scogliere di Dover che si affacciano sul Canale della Manica, puntualmente immortalate mentre si sbriciolano.
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Quello che invece non torna è il rischio che hanno corso turisti e curiosi indifferenti ai cartelli di pericolo e ai divieti di accesso. Si dirà: “Fatti loro, c’era scritto di non avvicinarsi”. Eppure, quando i vigili del fuoco hanno portato sul posto due cani del nucleo cinofilo per fugare ogni dubbio su eventuali vittime travolte dalle rocce, un brivido è corso sulla schiena di tutti. Anche il crollo dell’aprile scorso poteva essere una strage se si fosse consumato in piena estate, quando la spiaggetta travolta da centinaia di tonnellate di massi e ciottoli pullula di turisti abbrustoliti dal sole e dalla salsedine.
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L’incolumità pubblica è anche la priorità di Tansi, che lo sottolinea: «Tutta l’area è a rischio. E con l’arrivo dell’estate e dei turisti il pericolo cresce. Bisogna intervenire per salvaguardare la rupe, certo, ma adesso occorre innanzitutto impedire l’accesso ai curiosi con barriere invalicabili». Cosa che finora non è stato fatto. I “furbi” non hanno mai preso sul serio i cartelli con il numero di protocollo delle varie ordinanze comunali di interdizione all’accesso. Finora è andata bene. Ma continuare a sfidare la sorte e la natura non è una buona idea, né per gli incivili che scavalcano senza problemi il nastro bicolore che imporrebbe l’alt, né per gli amministratori pubblici che hanno la responsabilità giuridica di vigilare.