Il 26 ottobre 2012, nell’area del Pollino, la terra trema. La paura arriva di notte, poco dopo l’1, e getta la gente giù dal letto, fuori di casa, per strada. Non sorprende, perché quella scossa di magnitudo 5 è solo l’apice di uno sciame sismico che si trascinava ormai da due anni. Ma quando gli oggetti cominciano a venire giù dai mobili, e le tegole giù dai tetti, scatena il panico.

Un panico che toglie il fiato a Mormanno, che la scossa la sente nel petto e all’improvviso diventa un paese silenzioso. I cittadini lasciano le loro case, dove non si sentono più sicuri, ammassano in fretta poche cose nelle auto e si allontanano. Alcuni di loro non torneranno più. Altri, nonostante tutto, decideranno di restare. Arrangiandosi in case di campagna, in affitto, nell’attesa di tornare nelle proprie abitazioni dichiarate inagibili. Solo che l’attesa diventa un allenamento alla pazienza, perché di tempo ne passa.

Dieci anni e 11 milioni di euro dopo – la somma arrivata da Roma nelle casse comunali per la messa in sicurezza degli edifici – Mormanno è un paese che aspetta ancora. Dei lavori del dopo sisma solo il 70% è stato completato, il resto è un 30% di gente che ancora paga affitti e tributi al 50% (così come prevede la legge) ma non può rientrare nella propria casa. «Un 30% che non ci fa dormire la notte», dichiara il sindaco Paolo Pappaterra.

All’indomani del terremoto, la burocrazia regionale ha bloccato tutto per quasi tre anni, un ritardo che si è trascinato fino a oggi con uno strascico di problemi sorti lungo il cammino: la pandemia e il lockdown prima e, adesso, i rincari dell’energia e delle materie prime che stanno portando molte aziende ad abbandonare

 il campo perché non rientrano più nei costi previsti dagli appalti di 7-8 anni fa.

L’amministrazione comunale chiede alla Regione di rivedere i prezziari per appaltare – a costi in linea con la realtà attuale – quello che resta. E poi bisognerà lavorare sulla prevenzione. «Vogliamo allargare il paese – dice Pappaterra –, demolire gli edifici fatiscenti e abbandonati, spesso attaccati gli uni agli altri, e costruire piazze». Servirà tempo. E sarà importante utilizzarlo bene.

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