VIDEO | Tiziana Lombardo scomparve all’ospedale di Vibo Valentia a distanza di due giorni dal parto. Nei giorni scorsi il magistrato che si occupa del caso ha cambiato sede. Il legale della famiglia: «Il procedimento potrebbe andare in prescrizione»
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Il 5 gennaio 2017 è una data che ha cambiato per sempre i destini di una famiglia. Un giorno che avrebbe dovuto essere di festa si trasformò in una tragedia senza logica. Quel pomeriggio invernale, Tiziana Lombardo, 37enne di Paravati, entrò nella sala operatoria dell’ospedale Jazzolino di Vibo Valentia per un malore che si accerterà essere dovuto a un aneurisma addominale. Quarantotto ore prima aveva dato alla luce una splendida bambina, Giada, arrivata a illuminare la vita di una famiglia allietata già da Pasquale, cinque anni più grande di lei. Ma Tiziana da quell’ospedale non uscirà più viva.
Oggi, a distanza di oltre due anni dalla tragedia, quello che si leva dal marito Antonio e dall’avvocato Francesco Ruffa - difensore delle famiglie Lombardo e Libertino con il collega Giuseppe Catalano del Foro di Palmi - è un grido d’allarme affinché non cali il sipario su una vicenda dai mille interrogativi in attesa di risposta. Le indagini, infatti, sono ancora in corso, ma un recente provvedimento potrebbe minare l’andamento delle stesse: il magistrato che si occupava del caso, la dottoressa Claudia Colucci, è stato trasferito.
«Rischio prescrizione»
«Il rischio concreto è che il procedimento vada in prescrizione – ci dice l’avvocato Ruffa -. Una situazione che ci lascia interdetti, anche perché sono passati più di trenta mesi. In questo periodo ci siamo relazionati più volte con il pm, e speravamo che le indagini si concludessero in tempi brevi, in un senso o in un altro, perché noi non siamo in cerca di un colpevole, ma della verità».
Una novità che lascia con l’amaro in bocca il legale: «Siamo fortemente delusi, soprattutto dal punto di vista umano, perché diventa difficile andarlo a spiegare a chi quel dolore lo vive quotidianamente. Non è possibile che una donna, una mamma, una moglie, vada in ospedale per il giorno più bello della sua vita e da lì non ne esca più. Speriamo – continua Ruffa – che il fascicolo sia affidato subito a un nuovo pm e che questo prenda in mano la situazione in maniera concreta».
Domande senza risposta
Lo stesso auspicio condiviso da Antonio, marito e padre che si è posto un’infinità di domande in questi due anni e mezzo e che oggi vuole rivolgere direttamente a chi «era presente nei giorni in cui mia moglie ha trascorso le ultime ore della sua vita. Perché – chiede Antonio – non avete intrapreso alcuna attività terapeutica per arrestare un’emorragia di cui eravate a conoscenza già alle 12:18 di quel 5 gennaio 2017? Perché avete aspettato che mia moglie si dissanguasse e andasse in shock, dopo che io stesso l’ho accompagnata pienamente cosciente nel reparto di chirurgia? Perché dopo aver diagnosticato due volte l’emorragia addominale, sia con ecografia che con tac, l’avete riportata nuovamente nel reparto di Ginecologia? E chi erano tutte quelle persone che entravano e uscivano dal reparto, in abiti medici e civili, in un momento in cui solo mia moglie era in sala operatoria?».
Nuovi particolari
Antonio si ferma con le domande, ma continua a parlare e svela altri particolari significativi: «Con nostro immenso dispiacere ci siamo anche resi conto che Tiziana già alle 16 si poteva considerare morta e che, nonostante qualche timido segnale di ripresa elettrica dovuto alle manovre di rianimazione, il suo cuore non è più ripartito. È stata fatta – incalza - un’operazione tecnicamente riuscita, perché l’emorragia è stata arrestata, ma su una persona da considerarsi morta, mentre noi aspettavamo da quattro ore, pieni della speranza che potesse uscirne viva».
«Vogliamo la verità»
Una vita sconvolta, ribaltata da quella data e da quanto avvenuto in un ospedale tristemente noto per casi di malasanità: «La nostra vita – conclude Antonio – avrebbe potuto essere molto più bella con una donna che voleva essere a tutti i costi madre di questi due splendidi bambini. Oggi, grazie a Dio, loro stanno bene e fanno del loro meglio per affrontare ogni giorno questa nuova vita senza una mamma. Ma noi vogliamo la verità».