Mimmo Lucano, le emozioni del ritorno a Riace: lo speciale di LaC Tv

VIDEO | In onda domenica 8 settembre alle ore 21 e in replica lunedì 9 alle 14. Il direttore della testata giornalistica televisiva del nostro network, Cristina Iannuzzi, racconta quei momenti tra cronaca e sensazioni 

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di Monica La Torre
7 settembre 2019
16:32
Il ritorno a casa di Lucano
Il ritorno a casa di Lucano

La Calabria è terra arcaica. È forse per questo, che i suoi uomini e le sue donne acquistano a volte, per strani giri della storia, la fissità dei ritratti antichi. Puri, lineari, monocolore. Buoni o cattivi, coraggiosi o codardi, di legge o di crimine, razionali o visionari. Poche le sfumature, ancor meno le incertezze. O bianco o nero. O buio, o luce. L’ultimo protagonista di questa galleria di ritratti di santi e briganti, giuristi e utopisti, vittime e carnefici, è Mimmo Lucano. Un personaggio al quale è difficile imputare una contraddizione, una sfumatura, una crepa nelle granitiche convinzioni. Un uomo la cui caparbia visionarietà ha sfidato consuetudini e normative, rivelatosi capace di trasformare l’utopia del Villaggio Globale in realtà, ed imporre, dalla periferia dell’impero, dal paese più remoto della provincia più povera, un modello sociale talmente avanguardistico da aver attirato l’attenzione, l’ammirazione, le ire e la rabbia, di politici, accademici, giornalisti, osservatori di tutto il mondo.


Il backstage del fatto di cronaca

Non è questa la sede per ripercorrere la sua storia. E tuttavia, all’indomani del suo ritorno a Riace, venuto meno l’esilio dal comune che lo ha visto primo cittadino, è opportuno cercare di leggere l’uomo, più che il personaggio. A farlo, il direttore della testata giornalistica di LaC Tv, Cristina Iannuzzi.
L’aver seguito i passi di Lucano dall’esilio di Caulonia al rientro in paese, l’abbraccio col padre prima, e con una piccolissima parte di paese poi, ci ha permesso di fotografare il back stage emozionale del fatto di cronaca.


 

Lo speciale televisivo

In parallelo, uno speciale televisivo che andrà in onda domenica 8 settembre alle ore 21 e in replica lunedì 9, alle ore 14.00, su LaC Tv. Il racconto per immagini dell’animo delle persone, più che della mera giudiziaria. Un reportage sulle emozioni di un eroe per caso, di un simbolo suo malgrado, dell'amministratore calabrese più famoso del mondo, che si palesa per quello che è: l’uomo semplice in uno spazio scarno, tra luoghi asciutti e pochi elementi a corredo. Una stanzina piccola, un anziano malato privo di qualsiasi orpello, un paese di poche anime nascoste, che tutti son li dietro la finestra a spiare il codazzo di giornalisti e telecamere. L’essenziale come prova esibita del rigore che lo caratterizza, e che lo ha trascinato a furor di voglia di egualitarismo e ansia di pauperismo agli onori delle cronache internazionali; la modestia innata che, a prescindere dal giudizio della Storia su di lui, lo rende, ad oggi, il José Mujica italiano. Eccolo, il giorno di Lucano, nel racconto di Cristina.

 

Il pomeriggio di un simbolo

«Siamo arrivati a Caulonia Marina, davanti a questa palazzina dove Lucano si era sistemato durante i giorni del divieto di dimora – racconta la giornalista - . Eravamo un discreto numero di persone, tutte in attesa di vederlo scendere e tornare al suo paese. Al citofono aveva risposto in modo brusco, secco. “Alle 4 a Riace!”, come per scoraggiarci. Di lui - prosegue la giornalista – già sapevamo dei modi burberi, duri all’inizio, e poi sempre più sciolti. E così è stato, anche questa volta. Quando è sceso, -prosegue - ci siamo trovati di fronte un uomo provato. Stanco. Aveva gli occhi lucidi, la faccia di chi fa una fatica enorme a tenere a bada le emozioni. Un povero cristiano esausto, sudato, umanissimo. Di fronte alla fama del personaggio pubblico, il Mimmo di ieri era piccolo piccolo».


Il vecchio padre

Il racconto di Cristina prosegue, focalizzandosi sui sentimenti, la cui interpretazione è forse il tratto distintivo più forte della sua professionalità. «Lucano è stato tempestato di telefonate per tutto il tempo, ed era accerchiato da noi giornalisti. Eppure non si è mai tirato indietro, nonostante si capisse il bisogno disperato di intimità, di privacy, di abbandonarsi al sentimento. Non si è risparmiato -. E ancora-: si vedeva, si capiva che non vedeva l’ora di scappare dal padre malato, che aveva confessato di aver paura di non riuscire a vedere più, viste le condizioni. Ma non è mai scappato, mai un’accelerata, mai una ritrosia».


«Sì libberu?»

Si è esposto dolorosamente, a mostrare col suo comportamento il non aver niente da nascondere, nemmeno i sentimenti: a sacrificarli, soprrimere lacrime e groppo in gola, a provare la forza, la trasparenza del suo operato -. E coinvolgere infne i cronisti nel ricongiungimento più atteso: quello col padre-. Tutti insieme siamo entrati in questa casetta piccola piccola, con questo anziano pulito, commosso, che tendeva la mano verso il figlio, quelle dita magre che lo cercavano, con quel gesto puro dei vecchi felici… e per forza di cose, a quel punto, la sua commozione si è attaccata per osmosi a tutti noi. Piangevamo tutti, l’emozione era fortissima. Il padre che gli chiedeva “Sì libberu?”, quasi incredulo, e lui che gli rispondeva “Si, su libberu!”, due parole secche, con dietro un mondo di emozione, gioia, sollievo, riscatto».


Il paese

Fuori casa, il resto del mondo aspettava con altra ansia. «Lucano, lui sembrava spaesato, timido, imbarazzato. Quando i giornalisti hanno insistito a fargli fare una passeggiata per il paese, si scherniva. Come se non volesse far pensare agli altri che questa sfilata fosse una sua idea, un tentativo di mettersi in mostra: ed in effetti, eravamo noi a volerlo fare, noi gli interessati a testare le reazioni del paese. Che difatti, sono state ben diverse dal calore della casa del padre – racconta la Iannuzzi –. Al suo fianco, abbiamo attraversato un paese deserto, apparentemente disabitato, ma in realtà con decine e decine di occhi curiosi, nascosti dietro persiane chiuse, e una signora si è coperta addirittura il volto con uno straccio, per non farsi riprendere…».


Gli abitanti

La popolazione di Riace, è «una comunità divisa, di una diffidenza estrema, al limite dell’ostilità e del dispetto, che si è palesato anche in qualche reazione scomposta di fronte alle telecamere e che ha accolto Lucano con un’indifferenza remota – Non a caso, - per strada non si sentiva una voce, un rumore: c’erano solo dei bimbi di colore, nati qui, che giocavano. E parte un gruppetto di persone, uscite da una tabaccheria per abbracciare Mimmo, non si è visto un giovane del luogo. solo i ragzzi del movimento . C’erano due bar aperti, fuori da uno di questi abbiamo visto un gruppo di anziani che beveva birra, mostrando alle telecamere un dispetto quasi palese. Rispetto alle immagini della Riace del passato, piena di vita, di botteghe, di ospiti dal mondo, c’era il deserto».

 

Il Villaggio Globale

Chiuse le finestre, e chiuse anche le botteghe del Villaggio Globale, il progetto che nell’utopia illuminata di Lucano doveva costituire l’ossatura portante di un nuovo sistema di accoglienza. «Arrivati ad un certo punto, sono apparse delle donne di colore, che lo hanno abbracciato e accolto col tipico saluto africano, un grido modulato di gioia. Belle, sorridenti, solari. A Riace vive una comunità di rifugiati ordinata e sana, ragazzi e ragazze ben curati, dall’aspetto sano. Gente serena, che sta bene. La vista delle botteghe chiuse, mi ha portato a chiedere a Lucano cosa ne pensasse. Lui si era seduto su un muretto, si guardava intorno. E la risposta, è stata di un ottimismo disarmante: «Riapriremo tutto, mi ha detto. Così come Riace è nata spontaneamente una volta, nascerà spontaneamente anche una seconda volta. Ripartiremo da qui, anche se mi condanneranno di nuovo. Io sono fatto così, non mi importa».

 

L’uomo e il personaggio

Cristina chiude il suo racconto confidando le impressioni suscitategli dall’uomo Lucano. «A me è sembrato un uomo buono, una persona mite, profondamente altruista, di una semplicità estrema. Un mite imbarazzato, che non farà mai l l’abitudine a questo clamore mediatico, sopportato solo per poter difendere il suo progetto. Non ha mai centrato l’attenzione su di se, ripeteva sempre che non aveva sete di rivalsa, perché c’era chi aveva sofferto ingiustizie molto più gravi delle sue. "Come fa la gente - ripeteva-, a cenare tranquilla a casa vedendo le immagini di persone che muoiono in mare dopo aver subito torture di ogni genere? Come si può vivere con questa indifferenza?"». La prima giornata di Mimmo si chiude così, sul muretto, tra la sua gente, mentre ricorda il primo sbarco, quello portato “dal vento”, quel vento che insieme all’utopia ha portato provocazione, reazione e giustizia, politica e livore, celebrità e apertura, coscienza nuova e avanguardie creative. Domani, si ripartirà da qui, dallo stesso muretto. Solo che questa volta, non sarà stato il vento. Sarà stata la capa tosta.

Giornalista
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