«Ci sono premi che per scelta di vita e per coerenza bisogna rifiutare». Il testimone di giustizia Rocco Mangiardi dice no al premio Pacchero D’Argento, un riconoscimento, giunto alla sesta edizione, che premia coloro che si siano distinti nel contrasto all’illegalità e alla criminalità organizzata.


E se è pur vero che l’imprenditore lametino ha decisamente svolto un forte ruolo in questo contesto, denunciando i suoi aguzzini e indicandoli in aula, quello che lo  ha portato a respingere il premio sta nel ruolo ricoperto da chi lo organizza. Un ruolo importante, da cui Mangiardi, a nome di tutti i testimoni di giustizia si sarebbe aspettato di più.


Ma andiamo con calma. Salvatore Magarò, organizzatore della kermesse, è stato presidente della commissione antimafia calabrese. E qui sta il nodo. Per Mangiardi, nonostante la buona fede del politico,  nella sua posizione si sarebbe dovuto spendere, non per fare avere targhe, ma per stare vicino alle vittime e creare un vero spartiacque  «tra le vittime e i carnefici, fra la legalità e l’illegalità».


Invece, continua l’imprenditore lametino, si è preferito fare «la lotta alle mafie con le “caramelline anti-‘ndrine e quant'altro» e far scrivere davanti ai municipi “Qui, la ‘ndrangheta non entra!”, mentre sarebbe stato più corretto scrivere “Da qui la ‘ndrangheta se ne deve andare!”.