Per i giudici l'ex primo cittadino di Riace condannato a 13 anni era «dominus indiscusso del sodalizio che rispettava regole precise a cui tutti si assoggettavano»
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
«Lucano, da dominus indiscusso del sodalizio, ha strumentalizzato il sistema dell'accoglienza a beneficio della sua immagine politica». È scritto nelle motivazioni della condanna dell'ex primo cittadino a 13 anni e due mesi. Un'organizzazione «tutt'altro che rudimentale, che rispettava regole precise a cui tutti si assoggettavano, permeata dal ruolo centrale, trainante e carismatico di Lucano il quale consentiva ai partecipi da lui prescelti di entrare nel cerchio rassicurante della sua protezione associativa, per poter conseguire illeciti profitti, attraverso i sofisticati meccanismi, collaudati negli anni e che ciascuno eseguiva fornendogli in cambio sostegno elettorale».
«Domenico Lucano, dopo aver realizzato l'encomiabile progetto inclusivo dei migranti, che si traduceva nel cosiddetto Modello Riace, invidiato e preso ad esempio da tutto il mondo, essendosi reso conto che gli importi elargiti dallo Stato erano più che sufficienti, piuttosto che restituire ciò che veniva versato, aveva pensato di reinvestire in forma privata gran parte di quelle risorse, con progetti di rivalutazione del territorio, che, oltre a costituire un trampolino di lancio per la sua visibilità politica, si sono tradotti nella realizzazione di plurimi investimenti». Si legge ancora nelle motivazioni della condanna di Lucano.
Beni immobili acquistati con i soldi avanzati
Gli investimenti che Mimmo Lucano avrebbe fatto con i soldi avanzati dal progetto di accoglienza per i migranti ("l'acquisto di un frantoio e di numerosi beni immobili da destinare ad alberghi per l'accoglienza turistica"), nelle motivazioni della condanna si legge anche: «costituivano, ad un tempo, una forma sicura di suo arricchimento personale, su cui egli sapeva di poter contare a fine carriera, per garantirsi una tranquillità economica che riteneva gli spettasse, sentendosi ormai stanco per quanto già realizzato in quello specifico settore, per come dallo stesso rivelato nel corso delle ambientali che sono state esaminate».
Giudice: «Lucano ha indotto tutti al silenzio»
"Una regia comune" avrebbe animato i componenti dell'associazione a delinquere condannati nel processo "Xenia" nato dall'inchiesta sulla gestione dei progetti di accoglienza dei migranti nel Comune di Riace. È quanto sostiene il presidente del Tribunale Fulvio Accurso nelle motivazioni della sentenza con la quale il collegio ha condannato l'ex sindaco di Riace Domenico Mimmo Lucano a 13 anni e 2 mesi di reclusione il 30 settembre scorso.
«Tutti i componenti dell'organizzazione - scrive Accurso - hanno agito accettando di sostenere politicamente Lucano, ricevendo da esso, in cambio, piena libertà di movimento nella loro azione illecita di accaparramento delle risorse pubbliche».
«Non ha neppure sfiorato la tematica dell'integrazione virtuosa e solidale che nei primi anni veniva senz'altro praticata su quel territorio - continua Accurso - ma ha semplicemente messo in luce meccanismi illeciti e perversi, fondati sulla cupidigia e sull'avidità, che ad un certo punto hanno cominciato a manifestarsi in modo prepotente in quei luoghi e si sono tradotti in forme di vero e proprio 'arrembaggio' ai cospicui finanziamenti che arrivavano». Risorse, scrive ancora il giudice, «che pure erano destinate a favore di quelle persone più deboli, del cui benessere e della cui integrazione, però, nessuno si interessava più, se non in forma residuale e strumentale, dal momento che un maggior numero di stranieri avrebbe comportato un aumento degli importi che lo Stato avrebbe corrisposto, cosi alimentando gli appetiti di chi poteva fare incetta di quelle somme senza alcuna forma di pudore. In buona sostanza nelle numerosissime pagine di intercettazioni e di documenti non vi è alcuna traccia dei fantomatici 'reati di umanità' che sono stati in più occasione evocati da più parti, in quanto le vorticose sottrazioni che sono state compiute non servivano affatto a migliorare il sistema di accoglienza e la qualità dell'integrazione, ma solo a trarre profitto nelle diverse forme esaminate che non avranno nessuna connotazione altruistica, né alcunché di edificante».
Secondo il giudice, «la difesa, guardando il processo 'da lontano', ha cercato a più riprese di sorvolare sulla pregnante ed inequivoca conducenza dei documenti e delle intercettazioni, tentando di accreditare una lettura delle prove che fosse del tutto 'esterna' al procedimento, facendo leva su una sorta di persecuzione politica che avrebbe ricevuto l'ex Sindaco Lucano che, a loro dire, sarebbe stata finalizzata ad azzerare il sistema di integrazione ed accoglienza creato a Riace. Dall'altro canto, tuttavia, il processo ha consegnato al Collegio un'altra visione delle cose, che è poi quella sostenuta dalla Pubblica accusa, secondo cui le prove presenti in atti, 'viste da vicino', e cioè senza l'uso di lenti deformanti e, soprattutto, senza compiere fughe in avanti, hanno consentito di delineare una realtà fattuale di segno diverso»
Per il Tribunale di Locri ci sarebbe stata «la costituzione di un vero e proprio organismo associativo elevato a Sistema, che ruotava attorno all'illegale approvvigionamento di risorse pubbliche, e che si basava su una piattaforma organizzativa collaudata e stabile, che si avvaleva dell'esperienza e della forza politica che Lucano possedeva e che questi esercitava in forma padronale ed esclusiva, tanto da indurre tutti al silenzio».
«Lucano usò migranti per coprire azioni predatorie»
Il Tribunale di Locri, nel condannare l'ex sindaco Domenico Lucano, ha ritenuto di non concedere né le circostanze attenuanti generiche, né quelle di invocate dai suoi legali (per aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale, ndr) «non essendovi alcuna traccia dei motivi di particolare valore morale o sociale per i quali egli avrebbe agito, essendo invece emerso dal contenuto delle intercettazioni che la finalità per cui egli operò per oltre un triennio non ebbe nulla a che vedere con la salvaguardia degli interessi dei migranti, della cui presenza egli tuttavia ebbe a servirsi astutamente, a mò di copertura delle sue azioni predatorie, solo allorquando furono resi noti i contenuti di questa indagine, perché fu in quel momento che ebbe la necessità di mascherare le ragioni di puro profitto per le quali ebbe realmente ad operare (per interesse proprio e degli altri correi), per come si rileva in forma inequivoca dal contenuto delle sue stesse parole emerse dalla complessiva attività tecnica».
Lucano si difende: «Condannato sulla base di cose non vere»
«Non mi aspettavo complimenti ma neanche che il Tribunale mi condannasse sulla base di cose non vere». Ha detto Mimmo Lucano commentando le motivazioni della sentenza di condanna.
«Le risultanze del processo - ha aggiunto - dimostrano altro. È tutto molto strano. Dal processo non si evince per nulla l'interesse economico. Perché devo subire quest'aggressione mediatica basata su accuse infondate? Si infanga ancora una volta la mia immagine ma io non voglio che la gente abbia dubbi su di me. Aspetto di consultarmi con i miei avvocati per l'appello. Sono sicuro che dimostrerò la mia innocenza».
«Praticamente - ha sostenuto Lucano - il Tribunale mi condanna sulla base di dubbi e di falsità. Il colonnello della guardia di finanza che è stato interrogato ha detto che non ho patrimoni e che non era mia intenzione arricchirmi. Io non ho nulla. Mi domando come mai in tanti anni di indagine gli investigatori non hanno mai trovato un euro nelle mie tasche. Lo hanno detto anche in aula. Dov'è questo tesoro? Non potranno mai dimostrare che mi sono arricchito semplicemente perché la realtà è diversa ed è quella che io ho sempre raccontato».
I legali di Lucano: «Motivazione insusistente»
«Chiaramente è necessario avere il tempo per leggere attentamente le motivazioni della sentenza lunga oltre 900 pagine per cui ci riserviamo un comunicato a breve. In questo momento il primissimo dato emerso è che il Tribunale di Locri, pur di condannare Lucano, disattende perfino le Sezioni Unite della Cassazione in tema di utilizzabilità delle intercettazioni». Lo hanno affermato gli avvocati Giuliano Pisapia e Andrea Daqua, difensori dell'ex sindaco di Riace.
«Lo condanna - è scritto nella nota dei due legali - per associazione a delinquere con motivazione inconsistente, anzi insussistente. Scambia per peculato le attività di valorizzazione del territorio perseguite da Lucano e previste dal manuale Sprar. Ed ancora, il Tribunale parla di povertà 'apparente' di Lucano nonostante le misere condizioni economiche di Lucano siano state accertate dalla Guardia di finanza e confermate in udienza dalla stessa accusa. Siamo curiosi di completare la lettura e lo studio delle motivazioni per comprendere il restante ragionamento del Tribunale».