VIDEO | A dodici mesi dall’autobomba che uccise il biologo la città vibonese ha voluto commemorarlo con un concerto davanti alla sua abitazione alla presenza delle istituzioni. La solidarietà del presidente Mattarella
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Mamma Sara e papà Francesco Vinci, accompagnati da amici e parenti, depongono un mazzo di fiori sul luogo dove un anno fa scoppiò l’autobomba che uccise il loro unico figlio, Matteo Vinci.
Suonano le note del silenzio e poi in corteo raggiungono la vicina abitazione, davanti alla quale campeggia una gigantografia di Matteo. Ad attenderli i commissari prefettizi di Limbadi, l’ex sindaco Pino Morello, c’è Peppino Lavorato, già sindaco coraggio di Rosarno, l’uomo tra le cui braccia spirò Peppino Valarioti, vittima tra le vittime di una terra che vede ancora impunito il sangue di troppi innocenti. C’è il segretario provinciale della Cgil, ci sono i soci della fondazione “La città invisibile”, c’è don Fiorillo di Libera, c’è l’ex deputata della commissione antimafia Angela Napoli, e poca, pochissima gente comune. Pochi i cittadini di Limbadi che nell’anniversario della morte del giovane biologo si stringono attorno ai familiari.
Ma c’è la musica, che amava tanto Matteo Vinci. È la musica sacra dell’orchestra giovanile “Falcone Borsellino”, che non ha potuto suonare in chiesa per “ordine” del parroco, ma che si è esibita ugualmente davanti all’abitazione di Matteo.
Il presidente della Repubblica invia alla famiglia un messaggio di solidarietà. Anche il presidente della commissione nazionale antimafia Nicola Morra fa sapere che non potrà partecipare per precedenti impegni istituzionali, ma che si recherà nei prossimi giorni a Limbadi per abbracciare i genitori di Matteo.
Quel giorno lo ricorda molto bene papà Francesco, miracolosamente scampato all’attentato in stile libanese ordito da esponenti apicali del clan Mancuso. Lui che ha perso il suo unico figlio e che ora è disposto a vendere ogni bene pur di ottenere verità e giustizia per suo figlio. Verità e giustizia invocata anche dall’avvocato Giuseppe De Pace che ricorda come il giovane sia morto «per difendere strenuamente la libertà sua e della propria famiglia».
Ai presenti distribuito un cartellino con la foto di Matteo e con su scritto “#io sono Matteo. Vedevo… lingue di fuoco… alzarsi dal cielo… avvolte in un denso fumo nero come la pece… Il padre di Matteo gridava… vai Sara! Salvalo, nostro figlio è lì! Che brucia si! Il nostro adorato e unico figlio era li…!!! Arso vivo…!!! Dall’abominevole sete di sangue, che questi sciacalli assassini non placheranno mai…!”.