VIDEO | Uno dei video allegati agli atti del processo sul naufragio di un anno fa in cui morirono 94 migranti è tra le testimonianze più drammatiche di quello che accadde. Ve lo proponiamo nella convinzione che solo così il ricordo di quella tragedia non diventi inutile memoria
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Le parole sono potenti. Ma tante parole sono anche un rischio, perché finiscono per diluire il messaggio, per edulcorare l’indignazione e il dolore. Nel ricordare la strage di Cutro questo pericolo esiste. L’immensità di quella tragedia, che ha segnato un confine netto tra il prima e il dopo, può essere ridimensionata dal profluvio di parole, sempre uguali, sempre indignate, sempre evocative di come dovrebbe andare il mondo che invece, nei fatti, va nella direzione completamente opposta alla sopravvivenza dell’Umanità.
Il capolinea di 94 esistenze sulla strada di un futuro negato
Il naufragio di Cutro è stato solo il capolinea di 94 esistenze (i morti accertati) incamminate da tempo su una strada obbligata, tracciata da guerre, ingiustizie, povertà. E oggi che ricordiamo quella strage, che si consumò giusto un anno fa, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023, ci accorgiamo che il mondo è messo molto peggio di allora e la via che conduce a nuove tragedie come questa e sempre più grande e lastricata di disperazione.
LO SPECIALE | La strage di Cutro - Noi non dimentichiamo
E allora, invece delle parole ovvie, è sulle immagini che potremmo concentrarci. Come quelle agli atti del processo sulle responsabilità di quella notte. Filmati inediti per il grande pubblico, che mostrano i migranti sopravvissuti raggiungere carponi la spiaggia di Steccato di Cutro, tra urla di disperazione che giungono dal mare immerso nell’oscurità.
«Guarda la disperazione della vita... stanno affogando tutti»
Sulla battigia ci sono alcuni pescatori, tra i primi quella notte ad accorgersi di quanto stava succedendo, che in un attimo vengono proiettati in un girone infernale, con quei dannati rigurgitati dal mare nero, persone senza altra colpa se non quella di aver sperato in una nuova vita in Europa.
Mentre le strazianti richieste di aiuto che arrivano dall’acqua sovrastano il rumore della risacca, uno dei pescatori commenta a voce alta tra sé e sé: «Guarda la disperazione della vita… stanno affogando, poverini». È il dramma che si compie sotto i suoi occhi, ma non può fare nulla. Può solo attendere che qualcuno riesca a raggiungere la spiaggia. E quando questo accade comincia a correre freneticamente da un naufrago all’altro per sincerarsi che sia vivo o morto. In un inglese stentato ripete sempre le stesse parole: «It’s ok? It’s ok? Come… come here», come se bastasse esortarli a raggiungere la riva per mettersi davvero in salvo.
I nomi urlati nella notte verso il mare nero
Il suo telefonino a un certo punto inquadra una giovane donna in piedi, con un maglione a righe fracido d’acqua e sporco di sabbia come i suoi capelli neri e ricci. La donna continua a urlare alcuni nomi verso le onde che non danno tregua rimestando vite e speranze. Forse quelli che urla sono i nomi dei suoi figli o dei suoi fratelli. Anche lei, impotente e disperata, non può fare altro che chiamarli, implorandoli di salvarsi e di salvare lei stessa dall’orrore che sta vivendo. E strazia il cuore immaginare l’angoscia di una madre, di una sorella, di una figlia che non ha altro strumento per aiutare i suoi cari se non quello di urlare più forte dell’ululato del vento e del rombo del mare.
Vita e morte sulla spiaggia di Steccato di Cutro
Nello stesso filmato, tra i migranti stesi sulla spiaggia ma miracolosamente vivi, si arena anche il corpo di una donna che resta a faccia in giù in pochi centimetri d’acqua. Il pescatore si avvicina, l’afferra per un braccio e la trascina sulla spiaggia. La depone accanto a un migrante ferito e sconvolto, ma vivo. Per un attimo le mani dei due, di chi ce l’ha fatta e chi invece no, si sfiorano, una accanto all’altra, e il colore della loro pelle, arrossata dallo sforzo quella dell’uomo e pallida di morte quella della donna - rivelano drammaticamente l’esito diverso del loro naufragio.
E in queste immagini che forse conviene cristallizzare il nostro ricordo, perché non si disperda nel fiume di parole che poi, inevitabilmente, sfocia nell’oblio. Dimenticare quei morti, dimenticare il dramma immenso e farne solo coriandoli di numeri buoni per le statistiche, significa ucciderli di nuovo, spingerli sott’acqua per l’ultima volta affinché non riaffiorino più. È questo che dobbiamo impedire.
Mattarella davanti alle bare allineate nel Palamilone
Ed è questo il messaggio che il presidente Mattarella ci ha già lanciato all’indomani della tragedia, quando si fece riprendere mentre porgeva, da solo, il suo omaggio alle vittime allineate nelle bare che riempirono il Palamilone. Se non fosse stato per lui, l’Italia non sarebbe stata e ora negli occhi avremmo solo la conferenza stampa del Governo che arrivò a Cutro soltanto quando le bare erano state portate via in tutta fretta per non disturbare il racconto di chi promise, in un eccesso di enfasi, guerra ai trafficanti di uomini su tutto il “globo terracqueo”. Un anno dopo, le guerre non mancano, ma di quella, forse l’unica che meriterebbe davvero di essere combattuta, è rimasta solo l’illusione.