Le preoccupazioni del magistrato nella sua deposizione alla commissione parlamentare antimafia nel 1984, desecretata oggi
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Che senso ha essere con la scorta al mattino e dover andare in ufficio senza il pomeriggio? Che senso ha perdere la libertà di mattina ed essere liberi di essere uccisi la sera? Sono queste le domande che il giudice Paolo Borsellino si pone davanti alla commissione parlamentare antimafia l’8 maggio del 1984, nel corso della sua audizione che nella giornata di oggi è stata desecretata. Così sarà anche per numerosi altri atti che lo riguardano.
E, spulciando fra i resoconti, si scopre già tutto il paradosso con cui i giudici dell’epoca dovevano confrontarsi. Situazioni contraddittorie, mancanze ed uffici in perenne emergenza. Ma è dalle parole di Borsellino che trapela tutta l’amarezza per una vita che, evidentemente, era a rischio solo al mattino. Non alla sera.
Libero di essere ucciso la sera
«Buona parte di noi – affermava il magistrato affrontando il tema della scarsità di autisti giudiziari – non può essere accompagnata in ufficio di pomeriggio da macchine blindate – come avviene la mattina – perché di pomeriggio è disponibile solo una macchina blindata, che evidentemente non può andare a raccogliere quattro colleghi. Pertanto io, sistematicamente, il pomeriggio mi reco in ufficio con la mia automobile e ritorno a casa alle 21 od alle 22. Magari con ciò riacquisto la mia libertà utilizzando la mia automobile; però non capisco che senso abbia farmi perdere la libertà la mattina per essere poi, libero di essere ucciso la sera».
Personale scarso, mezzi inidonei
E che gli uffici giudiziari palermitani fossero in particolare difficoltà lo si evince dall’allora consigliere istruttore presso il tribunale di Palermo, Antonino Caponnetto, che parlava di «problemi di personale, di mezzi, di strutture». «Soltanto da due giorni – riferiva – siamo in organico completo. Ciò corona un lunghissimo sforzo perché non è stato facile ottenerlo e non perché vi sia stata mancanza di collaborazione da parte di qualcuno, ma solo per difficoltà obiettive dato che anche il tribunale si dibatte nelle nostre stesse difficoltà, cioè carenza di organici e di giudici, che la commissione sicuramente conosce bene, perché le avrà esposte il presidente Romano. I problemi si presentano non solo a livello di magistrati ma anche a livello di segretari: ce ne mancano almeno quattro e ci sono magistrati che lavorano senza segretario e altri che, lo ripeto, non hanno neanche l’arredamento della stanza come i due magistrati e le due sezioni che sono state aggiunte ultimamente».
C’erano difficoltà persino per il gruppo di lavoro che si occupava dei processi più delicati, composto da Falcone, Borsellino, Di Lello e Guarnotta: «Sono stati trasferiti, anche per ragioni di sicurezza, all’ammezzato del primo piano in stanze interne». C’erano addirittura problemi con gli allacci telefonici. Ed è proprio parlando di tali carenze che Paolo Borsellino quasi elemosinava la possibilità di avere un computer funzionante, che permettesse di svolgere un lavoro ordinario, non più eseguibile attraverso il solo cartaceo.
Computer indispensabili ma inutilizzabili
«Il computer - narrava Borsellino - è finalmente arrivato a Palermo, ma non sarò operativo se non fra qualche tempo perché sembra che i problemi della sua installazione siano estremamente gravi, anche se non si riesce a capire perché. So soltanto che è arrivato al Tribunale di Palermo ed è stato collocato in un camerino. Ora stiamo aspettando...». Ed al presidente che gli faceva notare come fosse un semplice personal computer, Borsellino replicava così: «È qualcosa di più, che è divenuta indispensabile perché la mole dei dati contenuti in un solo processo - per esempio, nel processo che in questo momento impegna ben quattro magistrati - è tale da non consentire più l'utilizzazione dei sistemi tradizionali delle rubrichette artigianali».