Non solo le famigerate “petrine” di cui parla Anna Palmieri, ma anche cocaina mischiata a metanfetamina: roba micidiale, in grado di provocare tachicardie letali agli ignari assuntori. Un carico di droga così è stata spacciata a Cosenza e nell’hinterland nel decennio scorso, seminando lutti e disperazione. A riferirlo è stato il pentito Francesco Galdi che, ai magistrati, ha raccontato anche i canali insoliti attraverso cui la droga arrivava in città.

A gestire il traffico, spiega il collaboratore agli inquirenti, era un napoletano conosciuto con il nome in codice di “Uomo fresco”. La roba veniva spedita via posta, tramite corriere espresso, sotto le mentite spoglie di innocue spedizioni di libri. Nei pacchi, però, non c’era alcunché di letterario, solo la costosissima polvere bianca. Anche i pagamenti, seguivano sentieri insospettabili: una semplice postepay per non destare sospetti e concludere le transazioni. Ogni involucro conteneva 250 grammi di stupefacente: giusto il peso di un libro.

Galdi associa anche un ricordo personale e luttuoso, relativo proprio a quella sostanza killer.

Una dose di cocaina “corretta”, infatti, avrebbe determinato, a suo dire, la morte di un diciottenne, trovato privo di vita in un centro ricreativo dell’area urbana. Secondo il pentito, esisteva addirittura un filmato che documentava gli ultimi istanti di vita del ragazzo, compresi i tentativi di rianimarlo operati inutilmente dai suoi amici. In seguito, le indagini innescate dalle sue dichiarazioni non approderanno a nulla di concreto. Il fantomatico video non è stato ritrovato; sempre ammesso che qualcuno l’abbia mai cercato. E “Uomo fresco”, a distanza di anni, è solo il nome di un fantasma che incute timore.

Fin dagli albori della sua collaborazione, Galdi si è proposto agli investigatori come un vero e proprio deus ex machina in tema di droga. Originario di Figline Vegliaturo, sostiene di aver vissuto la sua parabola criminale nelle vesti di fiduciario dei Chirillo in quel di Bologna, città dalla quale dirigeva lo spaccio di droga da e per la Calabria. Si tratta di fatti relativi all’inchiesta “Overloading”, quella che a dicembre del 2010 aveva innescato anche il suo arresto.

Proprio la detenzione, pochi mesi dopo, gli suggerì di voltare le spalle al suo ambiente di riferimento per consegnarsi alla giustizia.

Nell’ambito di quel procedimento, le sue rivelazioni hanno riguardato quasi interamente sul traffico internazionale di stupefacenti; droga che dall’estero arrivava a Bologna, città in cui lui stesso risiedeva, per essere poi smerciata sul mercato emiliano o dirottata in Calabria.

Tuttavia, oltre a parlare diffusamente di quegli eventi (come il chilo e mezzo di cocaina proveniente dal Sudamerica e disciolto in tre bottiglie di rhum per farlo entrare in Italia) Galdi aveva poi rivelato all’allora pm antimafia Vincenzo Luberto altri dettagli di quella che, a tutt’oggi, è una delle più monumentali inchieste mai realizzate contro i narcos.

Non a caso, stando agli indizi raccolti da carabinieri e magistrati, la droga veniva importata dal Sud America tramite un affiliato alle cosche di San Luca (Bruno Pizzata) e dalla Spagna tramite lo spagnolo Luis Canelo. Una volta arrivata in Italia veniva consegnata ai clan della ’ndrangheta che poi la spacciavano nei vari territori della Calabria.

Elemento decisivo per la buona riuscita di quell’indagine fu Bruno Fuduli da Filandari (VV), nome in codice “Sandro”. Un personaggio da film. Un narcotrafficante che a un certo punto decide di collaborare con il Ros dei carabinieri e, nel ruolo di infiltrato, contribuisce in maniera decisiva a svelare i segreti dell’organizzazione.

Uomo di talento, conoscitore di tante lingue, freddo, astuto. Aveva lavorato all’estero, parlava bene lo spagnolo e per questo divenne l’interlocutore privilegiato tra i sudamericani ed i mafiosi della Locride, protagonista di rocambolesche avventure nella foresta colombiana dove fu tenuto addirittura prigioniero dai narcos come garanzia del pagamento della droga. È morto suicida nel 2019.