L’inchiesta scattata nel novembre del 2013 mirava a far luce sulle pressioni e le ingerenze della criminalità organizzata sui vigilantes operanti nel Vibonese
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Quattro richieste di condanna per complessivi 32 anni di reclusione sono state formulate nel pomeriggio dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia (Giulio De Gregorio presidente, a latere i giudici Marina Russo ed Adriano Cantilena) dal pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, nei confronti di quattro imputati coinvolti in un’inchiesta antimafia scattata nel novembre del 2013 e che mira a far luce sulle pressioni e le ingerenze della criminalità organizzata sugli istituti di vigilanza operanti nel Vibonese.
Nove anni di reclusione a testa sono stati chiesti nei confronti di Michele Purita, 51 anni, di Cessaniti, e Paolo Potenzoni, 42 anni, di San Costantino Calabro; 8 anni di carcere sono stati avanzati nei confronti di Carmelo Barba, 36 anni di Vibo Valentia, mentre 6 anni di reclusione sono stati chiesti per Stefano Mercatante, 58 anni, poliziotto in servizio alla Questura di Vibo Valentia. Purita e Barba sono accusati di illecita concorrenza, minacce e tentata estorsione ai danni dell’imprenditore e testimone di giustizia Pietro Di Costa, titolare di un istituto di vigilanza a Tropea che avrebbe operato in concorrenza con l’istituto di Purita.
I reati per Purita e Barba sono aggravati dalle modalità mafiose e dalla presunta vicinanza degli imputati ai clan Lo Bianco e Barba di Vibo Valentia. Pietro di Costa, secondo l’accusa, sarebbe stato costretto con metodi mafiosi ad astenersi dall’operare in concorrenza con l’istituto di vigilanza (Sud Security) gestito da Michele Purita. Il poliziotto Stefano Mercadante, addetto alla sorveglianza sugli istituti di vigilanza privati, secondo l’impalcatura accusatoria sarebbe stato pagato nel 2011 da Michele Purita per omettere i controlli sul suo istituto di vigilanza. Da qui l’accusa di corruzione nei suoi confronti mossa in concorso con Michele Purita.
Riguardo all’ipotesi di concussione, nel 2008 - secondo l’accusa - Mercadante avrebbe costretto Pietro Di Costa, titolare di un istituto di vigilanza e oggi testimone di giustizia, alla remissione di una querela nei confronti del responsabile di altro istituto di vigilanza (Michele Purita), “minacciando il primo di relazionare informazioni negative con l’intento di favorire il secondo”. L’attività investigativa della Squadra Mobile di Catanzaro, sviluppata con l’ausilio di numerose attività intercettive a riscontro delle dichiarazioni rese dal testimone di giustizia Pietro Di Costa, avrebbe inoltre portato ad accertare attività usuraie subite da quest’ultimo nell’arco temporale che va dal 2001 al 2011 e sarebbero state poste in essere da Paolo Potenzoni. Prossima udienza il 26 ottobre.
Michele Purita è difeso dall’avvocato Giuseppe Bagnato; Stefano Mercatante è assistito dall’avvocato Francesco Muzzopappa; Paolo Potenzoni è difeso dagli avvocati Mario Bagnato e Francesco Stilo; Carmelo Barba è difeso dagli avvocati Antonio Porcelli e Giuseppe Bagnato.