Contestato il reato di usura e condanna anche per un poliziotto. Parte offesa, il testimone di giustizia Pietro Di Costa
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Quattro condanne da parte del Tribunale collegiale di Vibo Valentia (Giulio De Gregorio presidente, a latere i giudici Marina Russo ed Adriano Cantilena) in accoglimento delle richieste formulate dal pm della Dda di Catanzaro Anna Maria Frustaci, nei confronti di quattro imputati coinvolti in un’inchiesta antimafia scattata nel novembre del 2013 e che mira a far luce sulle pressioni e le ingerenze della criminalità organizzata sugli istituti di vigilanza operanti nel Vibonese. Questa la sentenza: 8 anni di reclusione per Michele Purita, di 52 anni, di Cessaniti (9 anni la richiesta del pm); 6 anni e 12mila euro di multa per Paolo Potenzoni, di 43 anni, di San Costantino Calabro (9 anni la richiesta del pm); 8 anni per Carmelo Barba, di 37 anni di Vibo Valentia (8 anni aveva chiesto il pm); 3 anni e 10 mesi di reclusione per Stefano Mercatante, 58 anni, poliziotto in servizio alla Questura di Vibo Valentia (6 anni la richiesta del pm). Per un capo di imputazione per Purita è scattata la prescrizione del reato.
Stefano Mercatante è stato anche dichiarato dal Tribunale interdetto dai pubblici uffici per la durata di cinque anni, mentre Paolo Potenzoni, Michele Purita e Carmelo Barba sono stati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici ed interdetti legalmente durante la pena. Tutti gli imputati sono stati altresì condannati al pagamento delle spese processuali. Potenzoni, Purita e Barba dovranno altresì risarcire i danni alla costituita parte civile Pietro Di Costa (testimone di giustizia), mentre è stata rigettata le domande civili proposte da Elena Gheorghe, Agostina Pia Di Costa e Anna Maria Di Costa, nonché le domande civili proposte contro Stefano Mercatante. Condannati poi ad una provvisionale, immediatamente esecutiva a favore di Pietro Di Costa, così liquidata: centomila euro Potenzoni e cinquantamila euro ciascuno Purita e Barba.
Purita e Barba erano accusati di illecita concorrenza, minacce e tentata estorsione ai danni dell’imprenditore e testimone di giustizia Pietro Di Costa, titolare di un istituto di vigilanza a Tropea che avrebbe operato in concorrenza con l’istituto di Purita. I reati per Purita e Barba erano aggravati dalle modalità mafiose e dalla presunta vicinanza degli imputati ai clan Lo Bianco e Barba di Vibo Valentia. Pietro di Costa, secondo l’accusa, sarebbe stato costretto con metodi mafiosi ad astenersi dall’operare in concorrenzacon l’istituto di vigilanza (Sud Security) gestito da Michele Purita. Il poliziotto Stefano Mercadante, addetto alla sorveglianza sugli istituti di vigilanza privati, secondo l’impalcatura accusatoria sarebbe stato pagato nel 2011 da Michele Purita per omettere i controlli sul suo istituto di vigilanza.
Da qui l’accusa di corruzione nei suoi confronti mossa in concorso con Michele Purita. Riguardo all’ipotesi di concussione, nel 2008 - secondo l’accusa - Mercadante avrebbe costretto Pietro Di Costa, titolare di un istituto di vigilanza e oggi testimone di giustizia, alla remissione di una querela nei confronti del responsabile di altro istituto di vigilanza (Michele Purita), “minacciando il primo di relazionare informazioni negative con l’intento di favorire il secondo”. L’attività investigativa della Squadra Mobile di Catanzaro, sviluppata con l’ausilio di numerose attività intercettive a riscontro delle dichiarazioni rese dal testimone di giustizia Pietro Di Costa, avrebbe inoltre portato ad accertare attività usuraie subite da quest’ultimo nell’arco temporale che va dal 2001 al 2011 e sarebbero state poste in essere da Paolo Potenzoni.
Michele Purita è stato difeso dall’avvocato Giuseppe Bagnato; Stefano Mercatante è stato assistito dall’avvocato Francesco Muzzopappa; Paolo Potenzoni è stato difeso dagli avvocati Mario Bagnato e Francesco Stilo; Carmelo Barba è stato difeso dagli avvocati Antonio Porcelli e Giuseppe Bagnato.