Il legame con la sua terra d’origine Paola non ha mai voluto reciderlo. A Catanzaro ci torna in media ogni due mesi, nei weekend: «Sono molto legata alla mia famiglia, agli amici che ho lasciato. Cerco di mantenere i rapporti». Ma ormai ha saldamente piantato radici ad Oxford, dove lavora nell’omonima università in qualità di infermiera di ricerca, una qualifica inesistente in Italia. Ed è questa la principale ragione che l’ha infine indotta a trasferirsi definitivamente nel Regno Unito, dopo aver lavorato nella sanità pubblica catanzarese, anche con un contratto a tempo indeterminato.

Fuga dagli ospedali

Neppure la stabilità, ambita dai più, è servita però da deterrente. Si è licenziata dall’ospedale ed è tornata ad Oxford per restarci. «Nel 2015 ho iniziato a lavorare come infermiera di reparto ma ho fatto immediatamente carriera. Nel 2016 sono riuscita ad accedere al successivo livello di inquadramento, infermiera tutor del dipartimento. Mi occupavo dell’orientamento dei nuovi assunti provenienti da altre nazioni. E infine dopo qualche anno, nel 2019 sono diventata infermiera di ricerca» racconta Paola, 37 anni.

Ricerca clinica ad Oxford

Professione che svolge tuttora e che le assicura gratificazione personale e professionale. «Mi occupo di ricerca clinica per l’università di Oxford – specifica -, studi di ricerca accademici o commerciali nelle fasi in cui si sviluppa un nuovo farmaco o un apparecchio elettromedicale». Gli studi li ha condotti a Catanzaro, laureata in Scienze infermieristiche nel 2011.

Il blocco delle assunzioni

«Il periodo tra il 2012 e il 2015 è stato il peggiore. Non c’erano opportunità lavorative nel mio settore, ho lavorato in case di riposo o con contratti a tempo determinato. Non c’erano concorsi per via del blocco delle assunzioni ma ho saputo che l’Inghilterra offriva maggiori opportunità nell’ambito delle carriere professionalizzanti» spiega Paola.

Plurispecializzati ma nel comparto

Qualifiche che in Italia non esistono sotto il profilo contrattuale. «Puoi svolgere tutti i master o le specializzazioni ma si resta sempre infermiera di reparto, al massimo si può aspirare a diventare coordinatore di reparto ma senza la possibilità di ottenere una specializzazione e una progressione di carriera. Ciò che avviene, invece, in Inghilterra, garantendo maggiore autonomia alla figura sanitaria. In Italia siamo relegati nell’area del comparto sanitario anche se siamo plurispecializzati e in possesso di diversi titoli accademici».

Il periodo covid

Durante il periodo del covid Paola fa ritorno in Italia con un contratto a tempo indeterminato. «Trascorriamo la gran parte della nostra vita al lavoro, con i nostri colleghi. Per me è importante essere soddisfatta sul piano personale e professionale. Ho deciso così di tornare in Inghilterra dove lo standard di assistenza è nettamente superiore, così come la qualità del lavoro e il rispetto verso il lavoratore. In Italia ho percepito la frustrazione dei sanitari, costretti a svolgere turni massacranti per sopperire alla mancanza di personale. Lavoro tanto, pagato poco, pochi servizi e male organizzati» riflette Paola.

Nessuna carriera

«Lì ho visto personale in corsia capace e molto preparato. Un vero peccato che non si possa fare carriera perché la legislazione italiana non lo consente. La qualità c’è già ma non può essere espressa. La gente pensa di avere a che fare con incapaci me è l’esatto opposto. È questa la ragione che spinge tanti infermieri verso carriere più gratificanti all’estero».

«Credevo che l’esperienza del covid avrebbe fatto riflettere e insegnato, invece la situazione nella sanità è solo peggiorata. Saremmo anche pronti a portare la nostra esperienza in Italia se qualcosa cambiasse, legando ad esempio la reale qualifica al riconoscimento delle competenze sia sul piano normativo che su quello lavorativo. Potremmo contribuire a svecchiare la figura dell’infermiere, sarebbe una vera svolta nelle professioni sanitarie».