«Papi voglio renderti orgoglioso di me, ma soprattutto papà non andartene mai più». Brenda Femia ha la voce rotta dal pianto mentre invia un videomessaggio al padre. La giovane, oggi universitaria a Firenze, aveva 8 anni quando le forze di polizia fecero irruzione per arrestare suo padre Rocco Femia, all’epoca sindaco di Marina di Gioiosa, accusato dalla Dda di Reggio Calabria di essere un affiliato alla ‘ndrangheta. La storia dell’ex primo cittadino del centro costiero della Locride è stata raccontata nell’edizione odierna del format di LaC Tv L’Italia del Sud. Un racconto che, più che sull’espetto giudiziario, si è concentrato sul dolore di un’intera famiglia, costretta a vivere un incubo lungo 5 anni e dieci mesi.

«Nel 2011 per me è iniziata un’altra vita – ha spiegato Femia - ho lasciato una vita molto bella con la mia famiglia, impegnata per portare avanti la mia comunità. In un attimo tutto quello è finito e sono stato rinchiuso in carcere. Nel 2011, infatti, sono stato arrestato perché accusato di essere un mafioso e da lì è iniziato un iter giudiziario durato molto tempo. A poco è servito gridare la mia innocenza, a niente chiedere di essere ascoltato da chi ha voluto il mio arresto».

Femia durante il corso della puntata ha raccontato della notte in cui le forze dell’ordine fecero irruzione nella sua casa: «Erano le 3 del mattino, la piccolina di famiglia, mia figlia Brenda, all’epoca aveva 8 anni e stava dormendo nel letto con me e mia moglie. Per anni ha rivissuto quel momento, per anni si è chiusa in se stessa per poter sopportare il dolore».

«La cosa che mi ha terrorizzato all’inizio – aggiunge - è stata la conferenza stampa, alla quale ha partecipato anche Piero Grasso, che all’epoca guidava la procura nazionale antimafia. Il modo in cui mi dipingevano: un sindaco asservito alle cosche, che aveva favorito la ‘ndrangheta. Io mi sono presentato davanti al tribunale con tutte le delibere di giunta per dimostrare che non avevo favorito nessuno».

Nei primi due gradi di giudizio questo non è servito, però, a dimostrare la sua innocenza. Sarà solo la Cassazione, dopo più di 5 anni, a riconoscere la sua innocenza. «Mi chiedono chi me la fa fare a dare interviste. E io rispondo che è la mia coscienza a impormelo, perché quello che è successo a me, alla mia famiglia, alla mia comunità non deve succedere più».

È difficile comprendere fino in fondo il dolore di un uomo innocente rinchiuso in una cella per anni, così come è quasi impossibile comprendere quello della sua famiglia: «I miei figli – spiega Rocco Femia - sono cresciuti e io non c’ero, i loro sogni non si sono potuti concretizzare, erano quelli che avevano un padre in carcere accusato di mafia; mio figlio giocava a Livorno e stava per esordire in serie B, ma ha dovuto abbandonare il suo sogno. La mia famiglia è stata molto importante per me, soprattutto mia moglie che non è mai mancata a un colloquio. Lei c’è sempre stata».

Il tempo è passato, i suoi figli sono cresciuti anche se Rocco Femia si è perso un pezzo di quel percorso, ma l’amore per quel papà dal volto segnato dalle sofferenze è rimasto immutato, splendidamente sintetizzato dalle poche frasi che la sua Brenda rilascia a favore di telecamera: «Papi i giorni passano e noi non passiamo mai siamo una famiglia di guerrieri. Sono a Firenze e voglio renderti orgoglioso di me, ma soprattutto non andartene mai papà».