I retroscena di un colpo tentato e fallito tra crimine e redenzione. Il dipendente dell’ufficio gli aveva sbarrato l’ingresso e lui ha avuto un crollo emotivo
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Il rapinatore sensibile. Fosse stato un film, si sarebbe intitolato così. Ciò che accade il 30 agosto del 2024 a Domanico (Cs), però, non è finzione cinematografica, ma realtà. Un tentativo goffo di rapina che si traduce in un fiasco e si conclude con la fuga dell’improvvisato bandito, con tanto di «scuse» alla vittima designate. È la cronaca di un colpo che non c’è mai stato, un colpo impossibile. Dai contorni amari.
Quel giorno, un uomo avanza verso l’ufficio postale intenzionato a svaligiarlo. Un complice lo attende in auto col motore acceso, pronto a ripartire, mentre a lui tocca il compito ingrato dell’assaltatore. Per l’occasione, sceglie una mise improbabile: cappellino, occhiali da sole e mascherina chirurgica a travisare il volto, mentre in mano stringe una scacciacani.
Con quell’arma innocua pensa di terrorizzare gli impiegati, farsi consegnare i soldi e filare via a tutto gas. I suoi propositi, però, naufragano già all’ingresso dei locali. Un dipendente si accorge di ciò che sta per consumarsi e così gli sbarra l’accesso.
«Apri, apri», ma quello non apre. «Apri o ti sparo», ma la porta non si apre. Dalle minacce si passa alle suppliche – «Ho bisogno, ho bisogno» – e poi, addirittura, al pentimento. Il rapinatore, infatti, capita l’antifona, chiede scusa all’impiegato e ormai in stato confusionale se la dà a gambe.
I carabinieri ci metteranno poco a intercettarlo insieme a chi gli faceva da palo e al fermo seguirà una confessione scandita dalle lacrime.
A quasi quattro mesi da quei fatti, la Procura di Cosenza ha chiuso le indagini del caso che coinvolgono due incensurati, un uomo di trent'anni e uno di venticinque, con il pm Marialuigia D’Andrea che contesta a entrambi il reato di tentata rapina in concorso. Li difendono gli avvocati Gianpiero Calabrese e Pietro Sammarco.