Troverà mai il coraggio di separarsi da questi grandi occhiali neri che indossa da trentasette anni? La domanda arriva al termine di un’intervista lunga ed emozionante. Lei sfiora delicatamente l’astina dorata e risponde: «Mai».

Dal 26 luglio 1988, quando Roberta fu violentata e uccisa sulla strada di Falconara Albanese, Matilde Lanzino nasconde al mondo il dolore senza fine che alberga dentro ai suoi occhi di madre. Due damigiane di acqua riempite alla fontana, una sosta veloce dal fruttivendolo per comprare l’immancabile anguria: dieci minuti è la distanza di tempo che separa la vita dalla morte.

«Ti hanno ucciso i tuoi stupratori, ma un poco anche io». Nel libro “Viaggio verso il mare” scritto nel venticinquesimo anniversario della morte di Roberta, Matilde Lanzino fa i conti con il rimorso che sembra non abbandonarla: «Ho violato il patto che avevo fatto con mia figlia. Le ho detto di avviarsi con il motorino, ché tanto io e suo padre Franco l’avremmo seguita a breve distanza con la macchina. E invece abbiamo perso tempo per sbrigare inutili faccende».

Il percorso da Rende e Torremezzo, dove la famiglia Lanzino trascorre le vacanze estive, è lungo un ora e venti minuti. Roberta ormai è quasi arrivata. Al bivio dei trulli, però, ha un’incertezza: il segnale stradale è rotto. Su indicazione di tre ragazzi svolta a sinistra. Franco e Matilde, dopo dieci minuti esatti, svolteranno invece a destra.

Due processi non sono serviti a dare un nome e un volto agli assassini di Roberta Lanzino. «La scienza investigativa, che ha il compito di elevare alla dignità di prova gli indizi raccolti – scrive Matilde nel libro “Viaggio verso il mare” – si è mostrata inadeguata».

Caduta con il motorino in un burrone. Per tre giorni Matilde ha creduto che sua figlia Roberta fosse morta a causa di un incidente. Poi, le parole di padre Gerardo svelano la cruda verità: un pugno in volto per tramortirla, le spalline della camicia conficcate in gola per impedirle di urlare, una cinquantina di ferite contate su tutto il corpo. E un taglio profondo alla gola, considerato la causa della morte.

Il 24 luglio di un anno dopo, Franco e Matilde Lanzino sono seduti davanti a un notaio: lo strazio per la scomparsa di Roberta non avrà mai fine, ma loro decidono di trasformare quel dolore in una battaglia civile da combattere a favore delle donne vittime di violenza.

Nasce così la Fondazione “Roberta Lanzino”: prestazioni sanitarie, educazione, istruzione, formazione professionale. Ma soprattutto, una “Casa Rifugio” che offre ospitalità diurna e notturna. Venti posti letto, divisi tra due appartamenti denominati “L’Orizzonte” e “La Bussola”.

Nel 2006 la Regione Calabria ha riconosciuto la Fondazione “Roberta Lanzino” come Centro di Accoglienza polivalente. È Franco che si preoccupa di mantenere i rapporti con le istituzioni. Fino al maggio del 2022, quando viene a mancare. «Mio marito riposa nella cappella di famiglia a Celico, accanto a nostra figlia Roberta. Il mio rammarico - confessa Matilde - è quello di non poterli andare a trovare spesso, perché non guido fuori dalla città».