Il giudice chiede tempo per ricostruire i fatti dopo lo sgretolamento del castello accusatorio della Procura. Slitta il deposito delle motivazioni della sentenza di secondo grado
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Il caso è troppo complesso e delicato per poter depositare le motivazioni della sentenza di Appello nei tempi prescritti. Dunque serviranno altri 90 giorni alla Corte d’appello di Reggio Calabria per scrivere le motivazioni della sentenza di secondo grado del processo “Xenia” nel quale era imputato l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano. Lucano è stato condannato, con pena sospesa, solo per un falso relativo a una delle 57 delibere che gli erano state contestate dall’accusa in uno solo dei 19 capi di imputazione che gli venivano addebitati.
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La sentenza è stata emessa nello scorso mese di ottobre e ha smontato quasi del tutto la precedente pronuncia del Tribunale di Locri che, nel settembre 2021, aveva condannato l’ex sindaco di Riace a 13 anni e 2 mesi. Per i giudici di primo grado sulla gestione dei progetti di accoglienza dei migranti nel piccolo Comune del reggino, c’era stata «un’azione illecita di accaparramento delle risorse pubbliche». L’Appello ha però accolto le tesi dei difensori di Lucano, gli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, e scardinato l’impianto accusatorio della Procura di Locri. L’ex primo cittadino che ha legato il proprio nome al modello di accoglienza nato nel borgo della Locride, era ritenuto il promotore di un’associazione a delinquere che aveva lo scopo di commettere «un numero indeterminato di delitti (contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica e il patrimonio), così orientando l’esercizio della funzione pubblica del ministero dell’Interno e della prefettura di Reggio Calabria, preposti alla gestione dell’accoglienza dei rifugiati nell’ambito dei progetti Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), Cas (Centri di Accoglienza Straordinaria) e Msna (Minori stranieri non accompagnati) e per l’affidamento dei servizi da espletare nell’ambito del Comune di Riace». Accusa pesantissima, cancellata nel processo di secondo grado.
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Sulla richiesta di rinvio pesano, ovviamente, anche i carichi di lavoro. Il giudice sottolinea «il concomitante impegno nella trattazione e definizione di numerosi altri procedimenti», tra i quali si segnalano quelli relativi alle operazioni Pedigree e Terramara nei quali sono coinvolti imputati sottoposti a misura cautelare. Per il periodo successivo, il magistrato segnala «la trattazione e definizione di altri procedimenti per reati distrettuali, in cui lo scrivente è relatore (ad esempio l’operazione Handover), cui si affiancano quelli in cui compone il collegio», come le operazioni Maestro, Alchemia, Monopoli.
La proroga per il deposito delle motivazioni, tuttavia, non dipende soltanto dalla carenza di organico della Corte d’Appello ma si lega al fatto che il «procedimento in questione si caratterizza per la non comune complessità e la delicatezza delle vicende trattate». Per il giudice Davide Lauro, il processo «esige una attenta e analitica ricostruzione degli elementi di prova, di natura intercettiva e dichiarativa, oltre che della poderosa produzione documentale delle difese, oltre che la risoluzione di diverse questioni giuridiche, sia sul piano procedurale sia in punto di esatta qualificazione giuridica delle condotte contestate». Un modo per dire che l’analisi della verità processuale servirà a rimettere a posto la storia del “modello Riace” e legare ai fatti quel «fatto non sussiste», espressione che ha restituito dignità al suo sindaco dopo la pesantissima condanna.