Il racconto della minorenne che trovò il coraggio di parlare delle violenze sessuali nel 2021: «Sostenuta soltanto da un pezzo della mia famiglia. Nei mesi in cui ho subito le violenze non vivevo più»
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«Era già stato individuato lo psichiatra dove mandarmi. Volevano che mi rivolgessi al centro di salute mentale di Taurianova, quello più vicino era proprio a Seminara». Clelia (nome di fantasia) denunciò i suoi stupratori nel 2021, quando aveva soltanto 15 anni. C’è il suo coraggio all’origine di un’inchiesta che ha portato, nel corso del tempo, a 16 arresti. Coraggio messo in crisi anche dal comportamento di un pezzo della sua famiglia: solo la madre e una sorella l’hanno aiutata a ribellarsi, due fratelli invece le avevano consigliato di andare da uno psichiatra. Avrebbero voluto affibbiarle l’etichetta di pazza. Lo racconta al Corriere della Sera e rievoca l’inizio di una storia che racconta il lato oscuro di un piccolo paese in cui i cognomi, quando sono legati a famiglie di ’ndrangheta, fanno paura.
La polizia arriva a Clelia mentre indaga su altri fatti criminali: le cimici piazzate nelle auto di alcuni ragazzi mettono gli agenti davanti a quella realtà terribile. Le intercettazioni raccontano stupri e violenze. I poliziotti cercano la ragazza per farla parlare con il pubblico ministero. Lei ascolta i suoi aguzzini vantarsi delle loro gesta e offenderla: scoppia a piangere ma riconosce le voci. Gli investigatori la mettono in contatto con uno psicologo che l’aiuta a bloccarsi: «Non solo ho subìto abusi di gruppo, ripetutamente, ma mi minacciavano di continuo».
All’inizio dell’incubo che è anche quello di una sua amica (anche lei denuncerà) c’è il rapporto con un fidanzato che aveva un approccio maschilista e violento: «Mi ha fatto incontrare gli altri, ha consentito che tutto avvenisse».
Giravano i video delle violenze, a volte accompagnati dal numero di telefono di Clelia: «Ricevevo continuamente telefonate per appuntamenti — ha raccontato, secondo quanto riporta il Corriere della Sera —. Non vivevo più. È iniziato il periodo in cui tentavo di far sapere alla mia famiglia quello che stavo subendo. Ma una mia sorella e un mio fratello mi hanno zittita. E poi c’era la vergogna: a scuola non ne parlavo con nessuno».
La famiglia si spacca a metà: «Mia madre mi ha supportata, così ha fatto anche una delle mie sorelle, con suo marito. Invece gli altri due fratelli, anche in virtù dell’amicizia che li lega al mio ex fidanzato, hanno dimostrato la loro avversità per ciò che avevo deciso di fare. Cioè denunciare i miei stupratori. Quello che era il mio ragazzo mi ha poi lasciata e, per di più, per offendermi, ha iniziato a raccontare in tutto il paese quello che mi era accaduto». Arriva poi l’idea far certificare la sua “pazzia” da uno psichiatra. Ma questa il silenzio che qualcuno avrebbe voluto far calare sulla storia: Clelia denuncia e le sue parole riescono a mettere fine alle violenze. Oggi vive lontano, in un posto protetto. Ma a proteggerla è stato innanzitutto il suo coraggio.