La sentenza d'appello dei giudici contabili si basa sul mancato adempimento di un atto che ha prodotto per l'Azienda sanitaria un danno pari a 800mila euro (ASCOLTA L'AUDIO)
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Guai per l’ex commissario dell’Asp di Reggio Calabria Giacomino Brancati e per il suo vice Felice Iracà. La Corte dei Conti li ha condannati in appello rispettivamente al pagamento di 400 mila e 250 mila euro in favore dell’Azienda sanitaria ospedaliera reggina. Una tegola pesantissima quella cristallizzata da una sentenza che ha messo nero su bianco una «disattenzione» costata cara e salata all’Asp di Reggio Calabria e, di conseguenza, ai contribuenti.
Danno da 800mila euro
Una vicenda che risale al 2017. Un danno quantificato in 800mila euro fu addebitato agli ex vertici dell’azienda reggina. Una contestazione erariale basata sul danno subito dall’Amministrazione sanitaria reggina per «la maggiore spesa dovuta alla non tempestiva esecuzione di un accordo transattivo, sottoscritto dal commissario straordinario Brancati per accettazione della proposta formulata da una ditta creditrice il 2 febbraio 2017».
I vertici dell’Asp, nonostante i solleciti riportati nella sentenza, non avrebbero, dunque, rispettato i termini e «la non puntuale esecuzione di detto accordo, che avrebbe altrimenti consentito un risparmio di spesa pari ad euro 1.847.007,43, sarebbe stata conseguenza della mancata trasmissione dell’atto transattivo all’ufficio del Commissario per il Piano di rientro della spesa sanitaria della Regione Calabria ai fini dell’effettivo pagamento. Tale omissione avrebbe comportato, secondo l’impostazione attorea confermata dal primo giudice, che la transazione rimanesse sulla “carta”, ovvero non trovasse alcuna attuazione, con il conseguente successivo intervento di un commissario ad acta nominato in via giudiziale per l’adozione dei provvedimenti di liquidazione delle spettanze vantate dalla ditta in complessivi euro 6.688.499,25».
L'omissione dei vertici Asp
In quanto organo di vertice aziendale, Brancati avrebbe, quindi, dovuto assicurare il puntuale adempimento vigilando sull’operato degli uffici e, così, garantendo quel risparmio di spesa che la transazione avrebbe consentito di ottenere. Dal suo canto Iracà è stato riconosciuto responsabile nella qualità di sub commissario aziendale, non solo sarebbe stato a conoscenza dell’accordo intervenuto con la ditta avendo attivamente partecipato alla sua definizione, ma anche perché «avrebbe avuto piena contezza del fatto che la transazione non aveva, poi, trovato esecuzione quantomeno nel rispetto della tempistica».
Inoltre la Corte dei Conti ha valutato negativamente l’appello del commissario chiarendo che «Il tentativo del Brancati di spostare il baricentro della responsabilità per il danno incontestabilmente subito dall’Amministrazione sanitaria non può che essere disatteso».
Il Collegio, infatti, non ha nessun dubbio sul fatto che, una volta sottoscritta la convenzione transattiva, Brancati «si sia del tutto disinteressato del seguito procedimentale dell’accordo nonostante sapesse della tempistica, oggettivamente stringente, convenuta per l’attuazione dell’accordo stesso e, soprattutto, nonostante fosse a conoscenza del fatto che, ai fini dell’effettivo pagamento, il passaggio che imprescindibilmente si sarebbe dovuto osservare era quello di trasmettere l’accordo all’Ufficio commissariale per il Piano di rientro».
Le parole dei giudici
A fronte di tutto ciò, i giudici hanno evidenziato come non sia stato registrato «alcun comportamento attivo del commissario nel tentativo di dare impulso ad un procedimento ormai incanalato su un binario senza apparente sbocco, un’omissione tanto più grave quanto più se ne consideri la sua perseveranza».
E in appello il Collegio non ha ritenuto di poter accedere all’ulteriore richiesta di applicazione del potere riduttivo in considerazione del «disordine aziendale addotto da entrambi gli appellanti - dal Brancati si è fatto addirittura riferimento allo “sfascio organizzativo” che avrebbe in quel periodo caratterizzato la gestione - ciò perché, ribadendo quanto in precedenza osservato, delle disfunzioni di un ente i massimi organi amministrativi e gestionali non possono che farsi comunque carico e, soprattutto, perché la conoscenza del disordine e dell’inefficienza in cui ci si trova a svolgere le rispettive funzioni non possono che indurre a prestare ogni possibile attenzione e cautela al fine di garantire che iniziative implicanti la gestione di ingenti somme siano gestite per il seguito di competenza nella maniera più puntuale e tempestiva possibile».