Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Calcioscommesse, ricatti e criminalità tornano ad essere indicate quali possibili cause della morte di Denis Bergamini. L’ipotesi affiora da una indiscrezione giornalistica riportata da Rai Sport che cita fonti anonime filtrate dalla procura di Castrovillari secondo le quali lo sfortunato giocatore del Cosenza sarebbe rimasto coinvolto in un brutto giro gestito con il consenso della criminalità locale.
!banner!
«Sulla vicenda di Denis scritte tante menzogne e falsità»
La ricostruzione ha fatto balzare dalla sedia Luigi Simoni, tra i protagonisti di quella stagione calcistica e grande amico del calciatore deceduto a Roseto Capo Spulico: «Ogni tanto salta fuori la droga, il calcioscommesse, le solite cose – dice al telefono con una punta di amarezza - Io invece scommetto la mia vita sull’onestà di Donato Bergamini e sui ragazzi di quella squadra. Quelle ascoltate nelle ultime ore sono solo menzogne e falsità. Eravamo un gruppo sano guidato da allenatori la cui moralità era indiscutibile».
Simoni ha vestito la casacca silana dal 1984 al 1989, difendendo i pali del Cosenza nella stagione della promozione in cadetteria e nel campionato successivo, in cui la compagine rossoblù arrivò ad un soffio dalla promozione in serie A.
«In questa brutta storia non c'entrano né la droga, né le scommesse»
«Se uno è marcio, rimane tale per sempre – aggiunge il portiere - Invece mai nulla di poco pulito è emerso nel prosieguo delle nostre carriere. Vorrei vederle queste fantomatiche prove. Chiaramente ognuno si assume la responsabilità di quello che dice. Il dispiacere più grande è che venga messo in dubbio il grande lavoro svolto sul campo, al prezzo di impegno e sacrificio. I risultati ottenuti ce li siamo guadagnati. Ascoltare ancora parole che sviliscono quel gruppo mi fa proprio incazzare. Io sono convinto che la morte di Bergamini non sia legata né alla droga, né al calcio».
Simoni ha maturato una convinzione ben precisa: «Le perizie dicono che non può essersi trattato di un suicidio. Siccome io non c’ero a Roseto Capo Spulico, ma c’era qualcun altro che ha raccontato delle bugie, è a lei che bisogna chiedere come siano andati i fatti».
Salvatore Bruno