La Suprema Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva l’ex assessore regionale all’Ambiente della Giunta Loiero, Diego Tommasi e l’ex presidente del Consorzio Asi di Cosenza, Stefania Frasca. Di recente, la quinta sezione penale ha depositato le motivazioni della sentenza, confermando quanto già emerso nel processo di secondo grado svoltosi davanti alla Corte d’appello di Catanzaro, dove i giudici avevano riformato la decisione emessa dal tribunale collegiale di Cosenza, riducendo notevolmente le condanne a carico dei due imputati.

La pena complessiva irrogata a Tommasi è stata rideterminata in un anno e sette mesi di reclusione, mentre la Frasca è stata condannata a un anno e cinque mesi di carcere, riconoscendo ad entrambi il beneficio della sospensione condizionale della pena, con revoca delle pene accessorie irrogate e conferma della confisca, sino al valore di 60.479,00 euro. Gli ermellini hanno ritenuto i due ricorsi infondati o “comunque, devolvono censure non consentite in sede di legittimità”.

Consorzio Asi di Cosenza, la ricostruzione dell’inchiesta

L’inchiesta sul Consorzio Asi di Cosenza, all’epoca coordinata dal pm Domenico Assumma (attualmente in servizio presso la procura di Catanzaro), era nata a seguito di una denuncia sporta ai carabinieri dal Collegio dei Revisori, i quali ritenevano di aver riscontrato una serie di irregolarità nella gestione dell’Ente. Irregolarità che avrebbero meritato, pensavano i revisori, delle risposte concrete che tuttavia non sono mai arrivate, fino al punto di recarsi presso l’autorità competente e raccontare ciò che dal loro punto di vista non era lecito.

Nel corso delle fasi processuali, la procura di Cosenza aveva sempre parlato «di una gestione marcatamente padronale dell’Asi di Cosenza, totalmente in mano al suo direttore generale» Stefania Frasca che sarebbe stata assecondata «e coadiuvata nella consumazione di atti arbitrari, sperperi di denaro pubblico e illeciti erariali e penali dal presidente» dell’epoca Diego Tommasi.

Il pm Domenico Frascino, durante la requisitoria aveva ricostruito la gestione della Frasca che, entrata nel Consorzio nel 2008, nel giro di un anno sarebbe riuscita a prendere «possesso del Consorzio e a gestirlo con estrema libertà, traendo profitto per sé, ma anche per gli altri dipendenti a lei fedeli, e dispensando sanzioni a coloro che tentavano di ostacolarne i sistematici arbìtri». In merito alle missioni fuori sede, la pubblica accusa aveva evidenziato l’assenza di ogni protocollo amministrativo.

Consorzio Asi Cosenza, le motivazioni della Cassazione

Secondo la Suprema Corte di Cassazione non c’è stato alcun travisamento delle prove a carico dei due imputati. Sul tema dell’incremento delle indennità, la quinta sezione penale ha dato atto al tribunale di Cosenza che «con ragionamento coerente e logico, ha indicato le conclusioni cui è giunta in relazione al decreto presidenziale del 2011 n. 3, indicando congrue ragioni per le quali non poteva ritenersi che l’atto avesse ad oggetto l’incremento di retribuzione del Direttore generale, precisando anche perché dovesse essere considerata univoca la volontà del Comitato direttivo, nel senso che i contratti in atto non andassero prorogati tacitamente».

Il caso del Consorzio Asi e quei testimoni “indagabili”

Inoltre, nel valutare l’andamento processuale e le condizioni secondo cui sono stati sentiti alcuni testimoni nel processo di primo grado, la Cassazione ha evidenziato che non vi erano i presupposti per ritenere costoro quali soggetti da reputarsi «indagabili al momento delle deposizioni rese, per il reato di falso, truffa o abuso d’ufficio, considerato anche che la denuncia dei revisori, che ha dato origine al procedimento, non ipotizzava violazioni relative alle decisioni adottate, ma in relazione alla loro autenticità (come correttamente osservato, nella requisitoria scritta, del Procuratore generale), falsità ideologica di cui i testimoni dell’accusa sono stati vittime rispetto a quanto riportato in delibera».

Consorzio Asi e la mancata proroga dei contratti

Sulla mancata proroga dei contratti ai dipendenti dell’ex Consorzio Asi di Cosenza, la Cassazione ha rilevato che «i ricorsi non si confrontano, adeguatamente, con la motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui rende conto del contenuto della seduta del 6 settembre 2012, in cui i componenti del comitato direttivo avevano manifestato l’espressa volontà dell’ente di non prorogare i contratti con i collaboratori, consulenti e dirigenti interni in scadenza, come quello della Frasca».

«La prospettata inerzia, poi, durata oltre sei mesi stante la carenza di iniziative da parte del Consorzio sulla possibilità di nuovi contratti a condizioni meno onerose, non è circostanza che conduce univocamente a condividere la versione difensiva. I giudici di merito, anzi, indicano la constatazione di detta inerzia, come artificio per giustificare la proroga, in favore della Frasca, sulla base di un ragionamento non manifestamente illogico. Sul punto, la Corte territoriale ha valorizzato la proposta, estemporanea, proveniente da parte di due componenti del Comitato direttivo, di “congelare” i contratti in scadenza per verificare la possibilità di un risparmio di spesa».

Per i giudici: «Tommasi consapevole»

«Si è poi, sottolineata la piena consapevolezza di Tommasi della determinazione, chiara e netta dell’ente, assunta il 6 settembre 2012, di non far operare la proroga automatica dei contratti, tanto che ne aveva dato attuazione, anche attraverso la comunicazione della decisione alla Frasca, a mezzo missiva». E ancora: «Si sottolinea, inoltre, l’assenza di iniziative del Tommasi dirette a rinegoziare le condizioni con la Frasca, seguita dalla disposta proroga, nella seduta del 22 aprile 2013, ove, con inversione di rotta, viene chiarito un diverso ambito di operatività, dal punto di vista soggettivo, della determinazione (da applicare a dirigenti “poco presenti”), nonché dal decreto del 10 maggio 2013, n. 10 che prende atto della proroga automatica».