In questi luoghi, in queste strade, su questi scogli, in questo mare, ho trascorso tutte le mie estati dal lontano 1986.
Ho imparato ad amarne i paesaggi, i tramonti, le acque cristalline, ogni singolo sasso, odiato da chi spesso ci inciampava e rimpiangeva la sabbia e su cui invece io correvo felice.
Estate per me ha sempre voluto dire libertà, costume da mattina a sera, amici, risate, la famiglia allargata, la salsedine sulla pelle, i pomeriggi sotto l’albero d’ulivo. E tutto questo accadeva qui.


Poi negli ultimi anni, lentamente ma inesorabilmente, l’incuria, il degrado, l’abbandono e ultima, ma solo in ordine cronologico, la furia della natura, hanno trasformato questo luogo.
Oggi impolverato, ferito, orfano della bellezza, tristemente solitario. Anche il mare sembra non avere più lo stesso odore di salsedine, la stessa trasparenza cristallina che ti faceva intravedere anche da lontano un fondale che ora puoi solo immaginare.


Mettici che siamo in quel sud Italia sventurato e spesso dimenticato dalla grande politica così come dalle grandi tv.
Dove nemmeno un tratto di strada crollato a seguito di un evento alluvionale (di cui, benintesi, solo i calabresi hanno sentito parlare grazie ai mezzi di informazione locale) riesce a scuotere le coscienze.
Vorrei descrivere quello che vedo, poi mi dico, per esperienza professionale, che le immagini rendono l’idea più delle parole.


La mia anima giornalistica urla vendetta. Davanti a questo scenario che rimarrà tale chissà per quanti anni in attesa di fondi e contributi che poi, se e quando arriveranno, verranno spesi chissà come, chissà da chi, chissà per cosa.
Perché, sai, anche un tale disastro potrebbe, mettendoci impegno, testa e competenza, trasformarsi in opportunità per ricostruire e ripartire.


Ma poi guardo il mare e osservo queste bolle di schiuma frutto di depuratori mal funzionanti e di scarichi abusivi e la risposta è già qui sotto i miei occhi. Rassegnazione che si trasforma in amara consapevolezza quando poi passo dopo passo osservo un lungomare di 6 km che nel libro dei sogni si potrebbe ben raffigurare con palme stile Miami beach, lampioni, piste ciclabili, camminamenti pedonali, panchine integre per godere di un panorama unico, e chi più ne ha più ne metta.


La realtà però è quella di una lunga linea d’asfalto che corre lungo il mare con marciapiedi ricoperti di fango e polvere, cumuli di spazzatura ai bordi della strada, cattivo odore, desolazione, silenzio assoluto interrotto dal passaggio di qualche auto solitaria (e dalla musica che suona forte negli auricolari). E buche, tante. Così tante che quasi rimpiango Roma (e di questi tempi è tutto dire). Così tante che un giro con il passeggino si trasforma in una corsa ad ostacoli (ok che ami il movimento ma questo è troppo anche per te).


Quaggiù non è un “Paese per vecchi”, non è un paese per nessuno. Nemmeno per chi, per amore di questi luoghi, ci è tornato ogni anno carico di speranza e aspettative. E ci sono voluta essere anche quest’anno perché volevo mostrarti questi luoghi, farti respirare la mia aria. Aria di casa. Cara Silvia, nonostante tutto, testardamente ti ho voluto portare qui con me, per conoscere le radici della tua famiglia materna, per raccontarti di questi luoghi che furono.
Eppure non avremo nemmeno una foto insieme a te, neonata, in questo mare. E nemmeno in spiaggia. Solo in piscina (assoluta novità per me a 36 anni). E questa è una sconfitta per me, per la Calabria, per il Sud, per l’Italia. Da Joppolo è tutto. Sperando un giorno di poterti raccontare un’altra storia, magari con un finale diverso.

Con immenso dispiacere, Mamma

 

Elisabetta Mazzeo