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Cinque ergastoli e 90 anni di carcere. Sono queste le pesantissime richieste formulate dal sostituto procuratore generale Francesco Monaco nel troncone ordinario del processo “Faida dei Boschi”.
L’accusa ha chiesto, infatti, alla Corte d’Appello di Reggio Calabria di confermare i due ergastoli già comminati dalla Corte d’Assise di Locri, nei confronti di Vincenzo Gallace e Cosimo Giuseppe Leuzzi, accusati di essere i mandanti dell’omicidio di Damiano Vallelunga, ritenuto il boss incontrastato di Serra San Bruno. L’uomo fu freddato il 27 settembre del 2009, davanti al Santuario dei Santi Cosma e Damiano di Riace. Invocato poi l’ergastolo anche per Andrea Sotira, Cosimo Spatari ed Agostino Vallelonga.
Ma il pg è andato oltre, chiedendo al collegio di accogliere l’appello avanzato dal pm della Dda di Reggio Calabria, Simona Ferraiuolo, con riferimento alla partecipazione del delitto Vallelunga, ma anche all’associazione mafiosa ed all’intestazione fittizia di beni. Per tale ragione, è stata chiesta la condanna di Antonio Leuzzi (12 anni di reclusione), Luca Spatari, (13 anni di reclusione) e Cosimo Damiano Bruno Vallelonga (12 anni di reclusione). Infine, sono stati invocati 20 anni di reclusione per Salvatore Papaleo, 17 anni per Roberto Umbaca e 15 anni per Antonino Belnome.
L’inchiesta partì nel 2012. In manette finirono 16 persone accusate, a vario titolo, di essere appartenenti alle cosche egemoni nel territorio della Locride, a cavallo con la provincia di Catanzaro e le Serre vibonesi. Un ruolo non indifferente nel processo ebbero anche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Michael Panaija ed Antonino Belnome. Questi non esitò a fare ai magistrati i nomi di coloro che avrebbero voluto e deciso l’omicidio Vallelunga. Le sue parole fecero luce su aspetti oscuri, di una faida che insanguinò tre province calabresi.
Consolato Minniti