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Rinvio a giudizio per Simona Del Vecchio, il medico legale che si occupò di eseguire le autopsie sul corpo del capitano Natale De Grazia, morto in circostanze misteriose nel periodo in cui stava indagando sulle cosiddette “navi dei veleni”.
Davanti al Tribunale di Imperia che ne ha disposto il processo l’ex direttrice del dipartimento di Medicina Legale dovrà rispondere dell’accusa di avere firmato certificati di morte senza avere ispezionato i cadaveri e, in particolare, di avere vergato 46 verbali di visite necroscopiche senza averle mai effettuate.
Pochi mesi fa, ad aprile, la donna era stata licenziata dall’Asl in cui prestava servizio perché coinvolta in un’inchiesta per truffa e falso. Centinaia sarebbero state le autopsie eseguite solo sulla carta, sia nel caso di ricognizioni cadaveriche per morti naturali che in quelli di esami necroscopici su incarico della Procura.
Una vicenda che getta pesanti e nuove ombre sulla morte del capitano De Grazia che si spense improvvisamente il 12 dicembre 1995, a soli 39 anni, dopo avere consumato una lauta cena nel periodo in cui la sua inchiesta stava raggiungendo nuovi importanti riscontri. Secondo gli esami svolti dalla Del Vecchio (due autopsie,la prima nel 1995 e la seconda nel 1997) il decesso non sarebbe in alcun modo legato ad un possibile avvelenamento. Una tesi messa in dubbio dalla commissione parlamentare d’inchiesta che indagò sul caso. La Del Vecchio, all’epoca consulente tecnico del Pm, consegnò più relazioni in cui escluse la presenza di sostanze tossiche e stupefacenti, salvo poi ammettere nel 2011 di non avere effettuato la ricerca di veleni perché non specificatamente richiesta dal magistrato. Per il medico il capitano sarebbe morto per cause naturali, in quella sindrome conosciuta tecnicamente come “morte improvvisa dell’adulto”, probabilmente per fattori legati al sistema cardiaco. Ora la pesante accusa con cui la Del Vecchio si dovrà confrontare in tribunale: quella di non avere mai effettuato diverse autopsie per le quali presentò accurate relazioni.
Il dubbio è che il caso del capitano rientri tra queste. Nel 2012 la Commissione affidò una nuova indagine medico legale al direttore dell’Istituto di Medicina Legale della facoltà di Medicina di Tor Vergata Giovanni Arcudi. Quest’ultimo nella sua relazione premise da subito di non avere potuto ripetere gli esami tossicologici perché i prelievi di liquidi biologici e viscere necessari non erano stati conservati. Un dato anomalo a cui si affiancò poi il suo giudizio franco sugli esami condotti nel 1995 e nel 1997, effettuati a suo dire in modo “superficiale con incomprensibili carenze e contraddizioni che rendono i risultati del tutto incerti, poco affidabili e quindi non concretamente utilizzabili”.
Nessun elemento per Arcudi porterebbe a potere sostenere la tesi della morte improvvisa dell’adulto, specie prendendo in considerazione il modo in cui il decesso avvenne. Le pagine della commissione d’inchiesta ripercorrono quei momenti. Conclusa la cena, il capitano si mise in macchina e qui si sarebbe appisolato iniziando a russare in modo anomalo fino a reclinare la testa. Scosso dal passeggero accanto avrebbe sollevato il capo ma non avrebbe avuto alcun tipo di reazione salvo, poco dopo, inclinare nuovamente la testa e non rispondere più agli stimoli.
“Mi risulta difficile – spiega Arcudi - avvalorare l’ipotesi di una morte cardiaca da ischemia miocardica su base aterosclerotica senza manifestazioni anginose, senza dolore”.
De Grazia era sulle tracce delle navi dei veleni, quelle utilizzate per inabissare sostanze tossiche. La notte in cui morì si stava recando a La Spezia, porto nel quale doveva incontrare delle fonti riservate. A quell’incontro non arrivò mai.
Tiziana Bagnato