Quattrodici anni fa moriva la giovane, rimasta in stato vegetativo permanente dopo un grave incidente stradale. Una lunga trafila giudiziaria avviata dal padre, Beppino, ha permesso di ottenere la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione. Dal suo caso nasce la legge sul biotestamento (ASCOLTA L'AUDIO)
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Sono le 20.24 del 9 febbraio 2009. Il primario del reparto di Rianimazione della clinica “La quiete” di Udine fa una telefonata. Dall’altro capo del telefono c’è Beppino Englaro. Il medico comunica che sua figlia Eluana è morta alle 20.10. Beppino le lacrime le ha finite da un pezzo, ma quella sera riesce a pronunciare solo poche parole: «Eluana ci ha lasciati, ora voglio restare da solo».
Ci sono sensazioni assai contrastanti che si fanno largo nella mente e nel cuore di Beppino. Lui, che ha lottato per anni per consentire alla figlia di porre fine a quello stato vegetativo in cui era precipitata, deve fare i conti con il dolore inconsolabile di genitore che lo travolge nonostante tutto. Eluana, infatti, ha vissuto per 39 anni. Diciassette li ha passati in stato vegetativo, contribuendo, insieme a papà Beppino, di scrivere una pagina fondamentale del “fine vita” in Italia e facendosi caso apripista in quella che poi è divenuta la legge sul biotestamento.
Una vicenda che non può e non deve essere dimenticata, perché ha scolpito il segno della sofferenza sui volti e le vite di Beppino, Saturna ed Eluana. Uniti da quel legame indissolubile che si crea tra genitori e figli e che ha consentito loro di combattere insieme per il riconoscimento di un diritto al centro di una polemica aspra, a tratti quasi insostenibile. Sono serviti dieci anni di battaglia davanti a diversi tribunali, undici processi e quindici sentenze, dai giudici di primo grado alla corte europea.
L’incidente e lo stato vegetativo
È il 18 gennaio 1992. Eluana, appena 22enne, si trova a bordo della sua auto sulla strada provinciale che collega Calco a Lecco. Sta rientrando dopo una serata passata con gli amici. L’asfalto è ghiacciato, l’auto slitta all’improvviso e va a terminare la sua corsa contro un palo. I soccorsi arrivano in poco tempo, ma gli occhi di Eluana fissano il vuoto. Il suo sguardo è assente, i riflessi spenti. La giovane viene trasferita all’ospedale di Lecco con gravi lesioni al cervello e la frattura di una vertebra cervicale. Al suo capezzale accorrono subito papà Beppino e mamma Saturnia. Viene praticata una tracheotomia. A distanza di un mese, Eluana esce dal coma: riesce a respirare da sola e viene nutrita attraverso un sondino. Sono anni in cui la famiglia di Eluana tenta in tutti i modi di farla uscire da quel torpore nel quale è caduta. Ma nel 1994, la sentenza dei medici raggela tutti: Eluana è in stato vegetativo e non vi sono possibilità che si possa tornare indietro. Da qui la decisione di trasferirla in una casa di cura a Lecco, gestita dalle suore misericordine. È il 19 dicembre 1996, Eluana viene dichiarata interdetta per incapacità assoluta dal Tribunale di Lecco. Il tutore è il padre Beppino.
La lunga battaglia giudiziaria
Passano tre anni e, nel 1999, inizia la battaglia legale di Beppino Englaro per poter ottenere la sospensione dell’alimentazione della paziente. Eluana finisce in coma quando ha ancora 22 anni. Troppo pochi per aver potuto esprimere la propria volontà diretta su un caso del genere, sì da non poter rendere effettiva l’applicazione dell’articolo 32 della Costituzione. Eluana, inoltre, non è tenuta in vita da un dispositivo di ventilazione artificiale.
L’interrogativo che aleggia sul suo caso è chiaro: la mera nutrizione del paziente (che è in coma irreversibile, ma respira) è da considerarsi una “cura medica” e quindi ricade nella fattispecie indicata dall’articolo 32 della Costituzione? Secondo il Tribunale di Lecco è proprio così e, per questo, si arriva al rigetto della richiesta di Beppino Englaro di lasciare che la figlia possa morire, non essendo ritenuto cura medica quel supporto alla nutrizione. Englaro non si dà per vinto. La domanda a cui vuol dare una risposta è se il valore garantito in Costituzione sia la vita in sé o, piuttosto, la dignità dell’esistenza, ossia la condizione umana non degradante a capace di consentire alla persona di vivere senza una sofferenza insopportabile.
Beppino Englaro è certo che Eluana non avrebbe mai voluto vivere in questo stato. La chiama “purosangue della libertà” e ricorda quella volta in cui, da studentessa, aveva contestato in classe un’insegnante che aveva elogiato il coraggio di una giovanissima tenuta in vita da un polmone d’acciaio. Per Beppino anche questo episodio era indicativo del modus vivendi di Eluana e di ciò che avrebbe effettivamente voluto. Così, nel 2003, Beppino ripresenta la richiesta di sospensione dell’alimentazione artificiale che, però, viene rigettata tanto dal Tribunale quanto dalla Corte d’Appello, in quanto non viene considerata “cura medica”. I giudici di secondo grado, tuttavia, riconoscono il vuoto legislativo in merito al “fine vita”. La vicenda arriva così in Cassazione, dove i giudici dopo un primo annullamento ed un nuovo giudizio d’appello, tornano ad occuparsi del caso.
È il 16 ottobre 2007, la Cassazione si esprime sull’alimentazione artificiale, escludendola dalla definizione di accanimento terapeutico. La Corte, però, afferma un principio importantissimo, l’alimentazione artificiale può essere interrotta, a patto che si verifichino due circostanze: lo stato vegetativo deve essere giudicato dai medici completamente irreversibile in base ad un «rigoroso apprezzamento clinico e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno»; in secondo luogo, si deve poter dimostrare che il paziente ha espresso la richiesta di non essere mantenuto in vita in modo artificiale. Servono, in altri termini «elementi di prova chiari, univoci e convincenti della volontà del paziente, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni o dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona». Il problema vero della famiglia Englaro, che non ha potuto cogliere un tale parere da Eluana. Gli atti vengono spediti nuovamente alla Corte d’Appello di Milano che, il 9 luglio 2008, autorizza Englaro ad interrompere l’alimentazione artificiale di Eluana. La Procura fa appello avverso la decisione dei giudici. Si arriva in Cassazione per la quarta volta e gli ermellini denunciano quel vuoto legislativo già ravvisato in secondo grado.
L’intervento della politica e della Corte costituzionale
Il 16 luglio 2008, ad appena sei giorni dalla decisione della Corte d’Appello di Milano, Camera e Senato sollevano un conflitto di attribuzione contro la Cassazione, affermando che la sentenza emessa nell’ottobre 2007 integrerebbe «un atto sostanzialmente legislativo, innovativo dell’ordinamento normativo vigente». Prerogativa che spetta al solo legislatore. Viene chiamata in causa la Corte costituzionale che, nell’ottobre 2008, dà ragione alla Cassazione ed alla Corte d’Appello di Milano, ritenendo che la sentenza non vada ad innovare in alcun modo l’ordinamento che si basa su una Costituzione che garantisce il diritto di rifiutare le cure mediche e il rispetto della volontà del singolo.
Il Governo decide di non rimanere inerme di fronte alla decisione della Consulta e nel febbraio del 2009 approva un decreto legge finalizzato ad evitare la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione in pazienti in stato vegetativo. Il colpo di scena, però, è dietro l’angolo: l’allora Capo dello Stato, Giorgio Napolitano si rifiuta di firmare il decreto ritenendolo palesemente incostituzionale. Il Governo, presieduto da Silvio Berlusconi, alle 20 dello stesso giorno si riunione in sessione straordinaria per un disegno di legge che ricalchi quanto previsto nel decreto legge.
Intanto, Eluana viene trasferita da una casa di cura di Lecco a quella “La Quiete” di Udine. La clinica lombarda, infatti, è contraria a che la sentenza che dispone la sospensione dell’alimentazione possa essere eseguita lì. Addirittura l’allora arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, dopo aver fatto visita ad Eluana, parla di «condizioni generali buone» e del suo vivere «senza l’ausilio di alcun macchinario». Anche il presidente Berlusconi si esprime: «Eluana ha un bell’aspetto e delle funzioni, come il ciclo mestruale attivo, non staccherei la spina».
I lavori in Senato e la morte di Eluana
Il 9 febbraio 2009, nonostante la giornata non sia quella designata per i lavori al Senato, a Palazzo Madama ci si riunisce comunque per la discussione del ddl sull’alimentazione e l’idratazione in pazienti in stato vegetativo. Proprio mentre dentro il palazzo sono in corso i lavori, giunge la notizia della morte di Eluana. Poco prima, papà Beppino viene informato dalla telefonata del primario del reparto di Rianimazione. Il Governo, allora decide di ritirare il disegno di legge, al fine di discutere in modo più dettagliato sul “fine vita”.
L’undici gennaio del 2010, il gip di Udine archivia l’inchiesta per omicidio a carico di Beppino Englaro e altre 13 persone. I risultati della perizia confermano: i danni conseguenti all’incidente del 1992 sono «anatomicamente irreversibili».
La legge suo biotestamento
Il 31 gennaio 2018 entra in vigore la legge 219 del 2017. È quella che concerne il consenso informato e le cosiddette “Dat” (disposizioni anticipate di trattamento). In sintesi estrema, con la parte riguardante il consenso informato viene «promossa e valorizzata» la «relazione di cura e fiducia tra il paziente e il medico». Il consenso può essere espresso tramite i modi e gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. Ancora, in ogni momento, la persona può rivedere le sue decisioni. Il rifiuto o la rinuncia riguardano tutti gli accertamenti diagnostici e i trattamenti sanitari, tra i quali la legge include l’idratazione e la nutrizione artificiali.
Quanto alle Dat, esse rappresentano la vera novità di quella legge. Sono definite anche testamento biologico o biotestamento. Ma a cosa servono? In previsione di un'eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle proprie scelte, la legge prevede la possibilità per ogni persona di esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto su: accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche, singoli trattamenti sanitari. Possono fare le Dat tutte le persone che siano maggiorenni o capaci di intendere e di volere. È possibile anche scegliere un fiduciario, cioè una persona (che sia maggiorenne e capace di intendere e di volere) chiamata a rappresentare l’interessato nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.
Le parole di Beppino Englaro
Di recente, Beppino Englaro (che nel 2019 ha ricevuto un risarcimento di 164mila euro dalla Regione Lombardia per avergli impedito di staccare l’alimentazione ad Eluana) è stato intervistato da Repubblica. E le sue parole confermano quegli anni di grande difficoltà: «Per la libertà seimila giorni d’inferno, ma oggi sono in pace perché Eluana ha vinto. La morte fa paura, lo so. Ma grazie a mia figlia è nata una legge: oggi l’Eluana di turno può non restare intrappolata nei meccanismi clinici né in quelli giuridici: una svolta». Un cambiamento importante che parte da lontano. Da quella lastra di ghiaccio della strada provinciale che porta a Lecco. Da quel 18 gennaio 1992, dove lo sguardo di Eluana si fermò come in un’istantanea perenne e consegnò all’Italia la battaglia silenziosa di una giovanissima donna e di suo padre. Convinti che vi fosse anche il diritto a non rimanere imprigionati senza scadenza in corpo ridotto a vegetale e senza possibilità alcuna di sperare in un ritorno alla vita.