VIDEO | I ragazzi hanno incontrato i familiari dei due giovanissimi uccisi per sbaglio da sicari al soldo della malavita organizzata
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Alla violenza si risponde con l'amore, sempre, perché interrompere il circolo vizioso dell'odio è fondamentale nella lotta alla legalità. E per sperare che le cose cambino non bisogna demandare le responsabilità ad altri, bisogna cominciare dai piccoli gesti quotidiani, respingendo le lusinghe dei facili guadagni e denunciando ogni sopruso senza mai girare la testa dall'altra parte, anche quando non siamo direttamente coinvolti. L'hanno imparato ieri mattina gli studenti dell'istituto paolano "Santa Caterina da Siena", durante un incontro che ha visto anche la presenza di Libera, l'associazione nazionale antimafia fondata da don Luigi Ciotti. Al dibattito hanno preso parte don Ennio Stamile, referente regionale di Libera, Paola Francesca Serranò, preside dell'istituto, e don Giuseppe Fazio, vice parroco a Belvedere Marittimo. Per aiutare gli studenti a comprendere la brutalità della criminalità organizzata, hanno portato in aula la loro testimonianza Francesca Anastasio e Giovanni Gabriele, papà del piccolo Domenico Gabriele, detto Dodò, ucciso a 10 anni nel 2009 durante una partita di calcetto a Crotone, e Chiara Maiorano, figlia di Tonino Maiorano, assassinato a Paola nel 2004 per uno scambio di persona. «L'obiettivo di oggi - ha detto la preside Serranò - era quello di colpire l'emotività dei ragazzi e di scuotere la loro anima. L'educazione alla legalità è uno degli obiettivi primari della nostra scuola».
La tragica fine di Dodò
E' il 25 giugno del 2009, in contrada Margherita, a nord di Crotone, una cinquantina di persone sta disputando i tornei amatoriali di calcetto sui quattro campi a disposizione. Ci sono anche Giovanni Gabriele e il figlioletto Domenico, di 10 anni, che ha insistito per andare a giocare nonostante il padre abbia finito molto tardi di lavorare. Giovanni ha provato a dissuaderlo, è stanco, ma l'insistenza del piccolo e il suo entusiasmo lo hanno convinto a calzare le scarpette da gioco. Fa già molto caldo, adulti e bambini ridono, scherzano e si divertono, ignari di quanto di lì a poco sta per accadere. All'improvviso, il gelo. Una scarica di colpi squarcia la normalità di quella sera di inizio estate, accade tutto in pochi secondi. Da dietro i cespugli uno o più fucili calibro 12 caricati a pallettoni hanno ucciso Gabriele Marrazzo, 35 anni, che ha pagato con la vita un debito da 350 euro con la 'ndrina locale dei Tornicchio. Nell'agguato rimangono ferite anche 9 persone. Il più grave è Dodò, accasciatosi sull'erbetta innanzi agli occhi increduli del padre. E' ferito alla testa e perde molto sangue. L'ambulanza lo trasporta in breve tempo all'ospedale di Crotone, ma i medici si accorgono della gravità delle sue condizioni e dopo le prima cure lo mandano all'ospedale di Catanzaro. Dodò lotta con le unghie e con i denti, ma il suo cuore non ce la fa e cessa di battere il 20 settembre di tre mesi più tardi. A provocare la strage, dicono i giudici della Cassazione, sono state due persone, Vincenzo Dattolo e Andrea Tornicchio, quest'ultimo all'epoca dei fatti neppure ventenne, reggente dell'omonima cosca da quando suo fratello, nel 2008, è finito in carcere. Entrambi sono stati condannati definitivamente all'ergastolo con una sentenza del maggio del 2015.
Il ricordo della festa di compleanno e il calore della gente comune
Nei mesi successivi al tragico episodio, i genitori decidono che lo straziante dolore dovrà diventare un messaggio di pace e amore per contrastare il fenomeno mafioso, così cominciano ad andare nelle scuole di tutta Italia per parlare ai ragazzi e onorare la memoria di suo figlio. Il suo papà ricorda ogni momento passato insieme, ma è il giorno del suo compleanno che riaffiorano prepotentemente i ricordi. «Ogni anno - dice - mi viene in mente quando mi chiedeva di festeggiare il suo compleanno a scuola con i suoi adorati compagni, poi compravo una torta anche per festeggiare in famiglia e alla fine lui li invitava anche a casa e festeggiava di nuovo». Una lotta quotidiana, quella di papà Giovanni e mamma Francesca, che un obiettivo preciso. «I nostri figli devono essere liberi di ridere, scherzare e giocare - ha dichiarato la signora Anastasio -, devono essere liberi di portare a termine tutti i loro progetti. Noi abbiamo intrapreso questo cammino perché il ricordo di Dodò possa essere da stimolo ai principi della legalità». E alla domanda su come abbiano fatto a sopravvivere a una simile tragedia, risponde: «Io e mio marito siamo rimasti in piedi solo grazie all'affetto e all'amore della gente».
Tonino Maiorano ucciso al posto di un Giuliano Serpa
E' la mattina del 21 luglio 2004, Tonino Maiorano, operatore radio della forestale, come tutte le mattine si reca sul posto di lavoro, che in quel periodo è la postazione antincendio del Consorzio di bonifica della Valle Lao, allestita al campo sportivo di Paola. Ma quella mattina la morte si traveste da giornale e si fa beffa dell'uomo. L'operaio, infatti, ha il volto coperto dalle pagine del quotidiano che sta leggendo un quotidiano e proprio come il suo collega Giuliano Serpa, vero obiettivo designato, ha i capelli brizzolati. Quando il sicario si presenta sul posto ha fretta di sparare, quell'agguato gli frutterà 50mila euro. Così partono due colpi, la vittima fugge ma inciampa e quando è a terra il killer gli dà il colpo di grazia per assicurarsi che sia morto. Quando però va a riscuotere la somma, i clan che gli hanno commissionato l'omicidio, maturato nel bel mezzo di una guerra di mafia, gli dicono che ha sbagliato bersaglio. Il pregiudicato Giuliano Serpa è vivo e vegeto e la ricompensa scende da 50 mila a 30mila euro, cifra che incasserà solo se farà fuori altre tre persone. Per la morte di Tonino Maiorano, l'uccisore riceverà comunque la somma di 10mila euro, ma di lì a poco il Pm Eugenio Facciolla lo convincerà a diventare un collaboratore di giustizia, circostanza che contribuirà a spedire i mandanti del delitto dritto in carcere e con una pena all'ergastolo sulle spalle. «E' una ferita che ci porteremo a vita - ha detto la figlia Chiara -, ma la nostra resistenza deve essere di tipo culturale, è importante che i ragazzi già a questa età capiscano da che parte stare».